“Domani lo denuncerò”: così Franca Rame concludeva il suo monologo “Lo stupro”, proposto in teatro nel 1975, in seguito ad una violenza di gruppo subita nel 1973 da parte di una banda di neofascisti, che cercavano così di mostrare la loro contrarietà alle idee politiche dell’attrice, scomparsa mercoledì 29 maggio, che per sempre sarà ricordata per il suo essere in prima fila nella ”battaglia contro la violenza sulle donne”. Franca ebbe il coraggio di spettacolarizzare il suo dolore, su di un palcoscenico, consapevole della sua grandezza, forte dell’essere nella ragione e dell’essere donna, senza vergogne, denunciando la repulsione nei confronti di chi ti ruba qualcosa che non può essere comprato: la dignità. Trasformò così il suo dolore nella sofferenza di tutte le donne e le sue grida divennero una voce echeggiante contro la violenza. Violenza, prepotenza, maltrattamento, coercizione, sopruso: termini che presentano confini labili e incerti.
Privare una donna del proprio stipendio, trasferendo ore di fatica su di un conto corrente che non le appartiene, spogliandola silenziosamente della propria indipendenza, non è una forma di violenza? Ed è anche contro questa sfumatura che assume la violenza e che s’insinua, senza far troppo rumore, in tantissime case, all’apparenza perfette, pulite, felici e gentili, che l’associazione QDONNA di Lissone batte e combatte, da pochi mesi, con pochi soldi ma carica di un obiettivo ben preciso: perseguire la parità di genere, che, a differenza di quanto si possa pensare, è lungi dall’essere completata nel paese in cui viviamo.
In occasione dell’incontro pubblico tenutosi nella sala polivalente della Biblioteca Civica di Lissone, la moderatrice Fiorella Brambilla, presidente dell’associazione sopra citata, ha offerto numerosi spunti di riflessione sull’attualissimo tema che, proprio in questi giorni, è stato discusso nelle aule del Parlamento. Anche se la Convenzione di Istanbul, tanto per chiarire, non è ancora stata ratificata dallo Stato italiano, nonostante i mass media ne parlino come se fosse cosa già avvenuta. Il disegno di ratifica passato alla Camera dei Deputati con voto unanime, infatti, deve essere approvato al Senato definitivamente e la discussione, purtroppo, non è ancora stata calendarizzata.
Ma di cosa si tratta nello specifico? Perché risulta importante la ratifica definitiva? L’ospite dell’incontro, Maria Luisa Carta, presidente dell’associazione C.A.DO.M. (Centro Aiuti Donne Maltrattate), ha affiancato Fiorella Brambilla durante tutta la serata, aiutando il pubblico a rendersi consapevole di quanto la loro lotta contro la violenza sia necessaria per emancipare tutte le donne dallo stato d’inferiorità a cui soggiacciono.
Per quanto riguarda la Convenzione, la signora Carta ha più volte ribadito come questa sia il primo strumento di diritto internazionale legalmente vincolante che “crea un quadro giuridico di riferimento completo per combattere la violenza contro le donne”, focalizzandosi dunque sulla prevenzione della violenza domestica, la protezione delle vittime e la persecuzione dei rei.
Con una punta di polemica, però, non è da tralasciare che la Camera dei deputati non abbia recepito l’invito agli Stati, presente nella Convenzione, a stanziare risorse finanziare e umane appropriate per un’adeguata attuazione di politiche integrate. “Non è il caso, non è il momento, c’è crisi, bisogna tagliare dove si può”: si dirà, seguendo i soliti luoghi comuni che ormai hanno fatto il loro tempo. I numeri, però, per una volta, non risulteranno noiosi e, forse, aiuteranno a confutare lo stereotipo de “i soldi pubblici vadano dove realmente servono”: la signora Carta, infatti, ha velocemente letto alcune cifre, che, probabilmente, potrebbero essere ridotte parte dello Stato. Infatti, indagini della tramite l’attuazione di una politica di prevenzione alla violenza da Comunità Europea, per quanto approssimative, attestano una spesa di 33 miliardi di euro annui per i costi sociali della violenza, di cui 4 attribuibili all’Italia.
Una donna che ha subito violenza tra le mura domestiche, specialmente se brutale, necessita di cure ospedaliere, di un alloggio per lei e per i suoi figli, di un aiuto legale, di un accompagnamento psicologico. E tutto a spese dello Stato. È un problema che non riguarda le donne, sebbene siano parte lesa, ma la società civile tutta. Questo è il punto chiave dell’incontro, questo è lo snodo centrale del problema. Maria Luisa Carta, fondatrice nel 1994 del C.A.DO.M. e figura molto attiva dell’associazione, sottolinea come la violenza si può e si deve combattere attraverso la cultura, impartita non alle donne, ma alla società tutta.
La violenza è un delitto culturale che sia il genere femminile sia il genere maschile dovrebbe contrastare in pari misura, in quanto la lotta non è una rivendicazione femminista in senso stretto: perciò non dovrebbero essere solo le donne a combatterla e gli uomini dovrebbero sentirla come un problema che gli appartiene. È un fenomeno socialmente, geograficamente e culturalmente trasversale, di cui tutti siamo vittime e protagonisti. In realtà, come ha rilevato Maria Luisa Carta, sollecitata da una domanda proveniente dal piccolo pubblico lissonese in prevalenza femminile, sembra che in Italia stia sorgendo una coscienza maschile che tenta di relazionarsi al problema: ne è esempio l’associazione “Maschile Plurale” che accoglie uomini motivati a comprendere la natura e la psicologia del fenomeno.
Dappertutto, in qualsiasi centro, comunque, ci si deve focalizzare su di un punto: la battaglia contro queste violenze quotidiane inizia con il rispetto rigoroso e intransigente del principio di parità e uguaglianza, con un’impostazione sana dei rapporti, con l’ammettere la diversità tra l’uomo e la donna che, però, implica accettazione e devozione per il diverso. Bisogna essere obbligatoriamente donne per combattere la violenza? Bisogna essere donne per indignarsi dinanzi ad un cartellone che pubblicizza la miracolosità di un panno capace di smacchiare le tracce di sangue di una donna appena uccisa dal compagno? Qui emerge in tutta la sua chiarezza che per combattere la violenza sia necessario educare all’indignazione e ai rapporti sani. “Domani lo denuncerò”, urlava Franca Rame nel 1975.
Nel 2013 non ci deve più essere un simile grido ma la volontà di chiudere, di scrivere l’ultimo capito del libro che testimonia l’esistenza della dura, brutale, sdegna, indicibile e inaccettabile violenza sulle donne. L’invito ultimo è rivolto a tutti, a fermarsi a pensare per poi indignarsi: questo deve essere il primo passo per combattere la violenza.
Camilla Mantegazza