Dopo il weekend progressista: la sfida

di Marco Riboldi – Foto di Vera Baldini

Un fine settimana decisamente interessante per chi si colloca in una visione progressista: la manifestazione di MilanoPrima le persone” e le primarie del PD  hanno segnato  un momento importante, riconfortando molti e dando l’impressione della ripresa di un cammino.  
Mi assumo il compito di  rileggere questi avvenimenti come una sfida che si propone alla sinistra, a costo di passare per un pessimista o per un eterno scontento.

Cosa leggiamo nella manifestazione di Milano? Sicuramente il riaffermare una serie di valori e di priorità che sono costitutive del campo progressista di varia ispirazione.

Ma questo nasconde due insidie.

Anzitutto l’insidia del semplicismo, o, per  meglio dire, della convinzione, magari un po’ inconscia, che la affermazione dei principi sia di per sé persuasiva  e capace di costruire consenso.

Sarà bene non illudersi: le parole d’ordine lanciate a Milano non sono in consonanza con tanta, troppa parte della società e della opinione pubblica italiana.

Nel sentire comune, le questioni dei porti chiusi, della presenza degli stranieri, delle varie situazioni legate alla sicurezza non sono in linea ed in sintonia con quanto detto e sentito a Milano: il lavoro è tutto da fare ed è e sarà durissimo.

Se l’insipienza politica dei pentastellati comincia a logorare il movimento ( ma anche qui sarà bene essere prudenti), l’onda del leghismo d’assalto è ancora lunga e la capacità politico-propagandistica del Capitano Salvini è ben lungi dall’essere esaurita.Chi vive quotidianamente nelle scuole, nelle fabbriche, nei luoghi di comune ritrovo, nelle parrocchie (sì, anche lì), sa come il linguaggio di ogni giorno sia quello della diffidenza e della distanza dalla apertura che viene proposta “dall’alto” (persino la parola di papa Francesco viene apertamente, anche se rispettosamente, considerata eccessiva da parte di fedeli che, per età, cultura, educazione,  non avrebbero mai pensato di giungere a “criticare” un  papa).

Se vogliamo raccontarla in modo diverso: oggi la narrazione progressista è sottoposta ad una opinione diffusa  conquistato da una egemonia culturale di segno differente che,  come tutte le egemonie culturali, pervade la società civile  ben oltre le capacità di intervento della  politica.

Nulla è perduto: purché si sappia che il cammino è lungo e passa per la riconquista della egemonia culturale, cioè  dalla costruzione di una opinione diffusa capace di riconoscere nelle soluzioni progressiste le più autentiche risposte alle questioni di oggi e di domani.

Seconda insidia: esistono nella cultura progressista autentiche e credibili proposte di soluzione?

Questa domanda è oggi quella più difficile. Ho già scritto che mi pare ci sia una grande difficoltà nella elaborazione di queste proposte, difficoltà che attribuisco alla  fatica di accettare la realtà delle questioni.

Se si pone la questione  della sicurezza, della adeguata sorveglianza delle nostre città, del fastidio che si prova davanti ad atteggiamenti di indifferenza nei confronti delle regole ( il caso banale, ma estremamente irritante dell’uso dei mezzi pubblici senza pagare il biglietto o dell’utilizzo dei giardini pubblici come latrine), del disagio nel leggere di persone fermate dalla polizia, oppure espulse oppure decine di volte sorprese a commettere reati e sempre lasciate libere senza alcun controllo… e sa il cielo quanto potrei continuare,  qual è la reazione della sinistra?

Sostanzialmente la negazione del problema, l’invocazione inerme di un integrazione di cui però si vedono poche tracce, l’appello a valori superiori bellissimi, ma incapaci di risolvere la questione qui e adesso, davanti al cittadino smarrito, preoccupato, quando non esasperato.

Bene: è il momento di rendersi conto che questo non basta, anzi è il modo migliore per spianare la strada alla destra più xenofoba ed escludente.

La sinistra deve avere un suo progetto di intervento, che tolga paure e preoccupazioni eccessive: ma deve essere un progetto che risolve i problemi, non che li nega.

Gridare che vogliamo ponti e non muri è molto bello, ma non spiega quel che vogliamo fare in concreto.

E allora, astrazione per astrazione (sì, perché la destra non ha poi queste grandi proposte concrete, al netto di una abile propaganda), temo proprio che l’elettorato sceglierà le parole d’ordine più semplici e immediate, al  di là della loro applicabilità.

Mi si  dirà che ho concentrato la riflessione in modo un po’ monotematico, trascurando temi importantissimi quali il lavoro, l’economia ecc.: è vero, ma credo che le questioni poste siano determinanti per battere quella egemonia culturale di cui parlavo poco sopra.

Spero che la stagione nuova che si inaugura con la nomina di Nicola Zingaretti  sappia raccogliere la sfida: ridare speranze e risposte agli italiani è anche una grande responsabilità di tutto il campo progressista deve assumersi, per il bene di tutti e per il futuro del nostro paese e dell’Europa.

 

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