Dossetti tra spiritualità e politica

di Marco Riboldi

Qualche tempo fa abbiamo qui proposto (eccolo) un profilo di Giuseppe Dossetti. Riprendo ora il discorso per evidenziare un paio di riflessioni che il nostro autore ha svolto, in modo da sottoporre alla attenzione di chi fosse interessato qualche spunto del pensiero di questo personaggio.Per comodità di tutti, ho scelto argomentazioni che si possono trovare anche in due scritti facilmente reperibili perché raccolti in un volumetto pubblicato a suo tempo da “Il Corriere della sera” dal titolo “ Giuseppe Dossetti  – Amore di Dio, coscienza della storia”.

Alcuni lettori del precedente articolo mi hanno chiesto qualche indicazione bibliografica per chi volesse approfondire: posso indicare un paio di pubblicazioni (“Giuseppe Dossetti: la fede e la storia” a cura di Alberto Melloni, Il Mulino, Bologna  e “Dossetti politico” di Giorgio Campanini, EDB, Bologna)  da cui si può utilmente iniziare.

Veniamo dunque agli spunti che intendevo sottoporre alla comune attenzione.

Il 22 febbraio del 1986, il sindaco di Bologna insignì Dossetti della massima onorificenza cittadina, l’Archiginnasio d’oro. In tale occasione, Dossetti pronunciò un discorso che gli permise di sottolineare alcune caratteristiche della sua vicenda umana politica e cristiana.

Mi ha colpito molto il fatto che la prima caratteristica che Dossetti volle evidenziare fu la sua  figura di “prestanome”. Egli cioè identificava la propria vicenda  come  quella di un rappresentante delle “aspirazioni, intuizioni, volontà, sforzi di moltissimi, uomini e donne, grandi e umili, dotti e indotti, illustri e anonimi che sono stati i veri e non dimenticabili realizzatori di tutto”.

Sia nel suo cammino di politico, sia in quello di sacerdote e monaco, Dossetti si sente parte di un insieme che lo trascende e di cui al massimo può considerarsi “sigla convenzionale di riferimento”.

Mi pare importante questa convinzione della necessaria coralità di  ogni esperienza forte, che non può rinchiudersi neppure nella singolare grandezza della persona di genio, ma sempre si nutre e cresce nella comunità di appartenenza e di riferimento.

Questo essere pienamente e consapevolmente portatore di questa voce collettiva, questo rappresentare veramente un insieme di popolo mi sembra delineare la autentica “competenza” del politico, in ciò diversa dalla competenza tecnica, che oggi, in modo  piuttosto miope e spesso strumentale, viene presentata spesso come una dote necessaria per  chi si impegna in politica.

In Dossetti, poi, questa esperienza corale trova poi alcuni riferimenti alti particolarmente importanti. Egli cita soprattutto  due grandi politici cattolici, Aldo Moro e Alcide De Gasperi (che come abbiamo visto non esitò  a contrastare, quando gli sembrò necessario), due grandi uomini di chiesa (il cardinale Lercaro e “sovrastante a tutti”, Papa Giovani XXIII) e, non so quanto sorprendentemente, Palmiro Togliatti, di cui riconosce, “ pur nella netta diversità della concezione generale antropologica e quindi politica”, un ruolo importante nella sua esperienza.

Va da sé che riconoscersi come “prestanome” significa sottolineare anche la necessità di una personale umiltà davanti ai compiti che la vita ci pone innanzi.

Secondo Dossetti questo è proprio specifico nell’esempio di papa Roncalli.

Scegliere un cammino da seguire con tutte le proprie forze è la cifra dell’agire umano veramente di valore. E per fare questo, dopo il necessario discernimento, occorre poi avere la “umile risolutezza d proposito” che consente di porsi a servizio di una direzione  di marcia, senza deflettere, senza protagonismi inutili.

Ciascuno ha la sua propria strada da seguire: deve farlo con decisione, umiltà, convinzione, soprattutto senza pensare che la via da lui intrapresa sia l’unica che consente di vivere degnamente il destino di uomo. Ogni persona ha il suo percorso di servizio a sé e agli altri, la sua traccia di incontro con il Mistero. Credo che a Dossetti sarebbe piaciuta la tanto equivocata frase di papa Francesco circa il fatto che non c’è un Dio cattolico: c’è Dio, che attende ogni uomo sul suo specifico cammino.

Per Dossetti questo cammino fu quello monastico.

E qui si inserisce un’altra riflessione di grande rilievo, che qui posso solo tratteggiare ( consiglio di leggere in originale il discorso). In poche pagine, Dossetti spiega come il suo essere monaco non sia un andarsene dall’impegno sociale, “ dalla città”.

Al contrario, le scelte così forti del monachesimo, i voti di castità, povertà e obbedienza, sono al servizio della città dell’uomo, per una testimonianza di una radicalità di vita che si può tradurre nel vivere comune, esercitando le medesime virtù nei modi in cui possono essere vissute nel quotidiano.

Così la castità testimonia la radicalità dell’amore, che può essere così totalizzante da volgersi solamente all’Unico; la povertà testimonia un distacco dai beni materiali che può essere sicuramente di riferimento a chi vive nel mondo e dei beni materiali deve far uso; l’obbedienza  spiega la necessità di una  attenzione all’altro, al punto da farsi reciprocamente servitori in vista del bene comune.

Poche pagine (nel libretto del “Corriere della sera” citato occupano le pagine 29-34), ma illuminanti e tali da chiarire di una scelta di vita che andrebbe rimeditata continuamente.

L’altro discorso da cui traggo qualche spunto è quello tenuto a Milano il 18 maggio 1994 in occasione dell’anniversario (l’ottavo) della morte di Giuseppe Lazzati

Si ponga attenzione alla data: il 1994 non è un anno semplice per il nostro paese, scosso da un paio d’anni di inchieste giudiziarie che hanno portato alla fine della prima repubblica e alle prese con la esperienza nuova  di aver perso i tradizionali riferimenti  politico-culturali che avevano accompagnato la vita sociale italiana per quasi tutta la seconda metà del XX secolo. Non bastasse, pochi anni prima la caduta del muro di Berlino e la fine dei comunismi europei aveva mostrato che un mondo poteva ritenersi finito.

Dossetti vedeva in tutto questo la necessità di cercare un nuovo orientamento, partendo dalla lucida considerazione che ci si trova in un momento di difficile comprensione: siamo nella notte, come la sentinella biblica che viene interpellata. “ Sentinella, quanto resta della notte? La sentinella risponde: ”Viene il mattino, e poi anche la notte; se volete domandare domandate, convertitevi, venite”.(Isaia 21, 11-12)

Come essere sentinelle che affrontano consapevolmente la notte, senza perdere la speranza del mattino?

Dossetti, sulle orme di Lazzati, chiede anzitutto di riconoscere la notte: riconoscerla in una società che non sa più essere feconda (già nel 1994 si vedeva chiaro il calo demografico oggi drammatico), che cerca il piacere fine a se stesso e non  la fecondità, svilendo l’amore con il separarlo dal suo fine ultimo, la relazione aperta alla vita. Riconoscerla in una società che non cura più la educazione e la scuola come sarebbe necessario, arrendendosi alla mediocrità culturale ed intellettuale. Riconoscerla in un vuoto ideale e di valori che si tenta di riempire con una corsa alla ricchezza materiale ben al di là di quanto necessario.

A ciò si aggiunge un complessivo orizzonte intellettuale e morale che  rifiuta uno “stare insieme” animato dalla ricerca del bene comune. Qui Dossetti formula una diagnosi che è ancora attualissima, sottolineando la necessità di riformare il bipolarismo, di attuare in modo adeguato il regionalismo, di lottare contro la “degenerazione privilegiata e clientelare dello stato sociale (tradito)”.

Ancor più significativo mi sembra il sottolineare l’involuzione del discorso sui diritti, sempre più tutti concepiti come diritti del singolo, dell’individuo, che non può/deve cedere nulla se non in una logica di contratto da cui ottenere vantaggi: siamo alla convivenza sociale regolata come quella degli accordi commerciali e d’affari.

Non ci sono scorciatoie per uscire dalla notte: soluzioni miracolistiche  possono illudere, ma non risolvono, anzi spingono a nutrire speranze destinate ad essere deluse ( credo che il populismo potrebbe essere annoverato tra le scorciatoie indicate).

La soluzione sta in quel “convertitevi” del testo biblico. Recuperare una visione della persona che, muovendo dalla antropologia cristiana, sappia animare la realtà temporale con una forza interiore che sa essere testimonianza decisa e contemporaneamente rispettosa per la autonomia della città dell’uomo, luogo di confronto, dialogo, apertura, progetto comune per il bene di tutti.

In questo, il lavoro di Dossetti e quello di Lazzati si ritrovano in un cammino di speranza, animato dalla passione  e dalla fede.

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