di Daniela Annaro
In Europa, c’era stato dopo concluso gli studi alla New York School of Art. E’ l’ottobre del 1906 quando arriva a Parigi. Un soggiorno che dura dieci mesi, l’anno successivo visita Londra, Amsterdam, Berlino e Bruxelles, ma non va a Roma.
Edward Hopper (1882-1967), ritenuto uno dei maggiori artisti del Novecento, rimane incantato dalle atmosfere parigine, ma in quegli anni di gran fermento artistico e culturale non si lascia influenzare dalle Avanguardie artistiche del momento (futurismo, cubismo, post-impressionismo).
Lui guarda a Courbet, Pissarro, Sisley. Al suo rientro in patria, negli Stati Uniti, si mantiene facendo l’illustratore indipendente, ma non tornerà mai più in Europa. Perché non è dato saperlo. Il successo arriva nel 1915 quando apprende la tecnica dell’incisione all’acquaforte e compra un torchio da stampa. Alcuni di quei lavori sono in mostra a Basilea, alla Fondazione Beyeler fino al prossimo 17 maggio.
Ci sono una sessantina di opere del grande maestro statunitense, capolavori famosissimi come Gas del 1940 o Cape Cod Morning del 1950 o Second Story Sunlight del 1960, ma soprattutto i curatori diretti da Ulf Küster hanno volto lo sguardo sulle pitture paesaggistiche di Hopper: paesaggi marini e rurali che rappresentano e raccontano i luoghi che l’artista americano dipingeva “en plein air” in viaggio con la moglie Josephine tra il Maine e il Massachusettes, sull’Atlantico.
Hopper soleva ripetere che dipingeva quel che sentiva: impiegava molto tempo a decidere quale sarebbe stato il soggetto. Sono tele studiatissime: i tagli geometrici, le fonti di luce, l’immobilità dei soggetti trasferiscono in noi visitatori – spettatori un profondo senso di solitudine e di malinconia, un paesaggio interiore più che esteriore. Inquadrature più che tele: non è un caso se registi come Hitchcock o il nostro Antonioni abbiamo guardato ai suoi lavori. Come non è un caso se il regista tedesco Wim Wenders sia stato chiamato dalla Fondazione Beyeler per realizzare un cortometraggio in 3D. “Two or Three Things about Edward Hopper” si intitola. Per ora, si può vedere solo come straordinario corollario della mostra.
Hopper – dice Wenders – ha un’affinità con il mezzo filmico davvero unica. Volevo che lo spettatore potesse immergersi nell’universo di Hopper, artefice di opere iconiche e insieme narratore di sestini e di storie.