Dalla sua prima inaugurazione nel 1867 e fino al 1885 l’illuminazione della Galleria era affidata alle lampade a gas. E fra le vetrine dei negozi erano posti i candelabri a braccio alle cui estremità una fiamma a gas emanava la luce, diffusa e protetta da globi di vetro smerigliato, gli stessi che è possibile osservare ancora oggi.
L’illuminazione poteva sembrare esigua nonostante le fiammelle accese fossero centinaia. Si rendeva quindi necessario integrare con altri sistemi “mobili” (candelabri multipli calati dall’alto); inoltre in corrispondenza della base della cupola era collocata una serie di ugelli equidistanti senza vetro di protezione, con fiamma libera.
Tale sistema, considerata anche l’altezza da terra delle fiamme, garantiva nel centro della Galleria un’illuminazione migliore. Rimaneva però il problema di come accendere tutte quelle fiammelle in circolo disposte a quasi 30 metri d’altezza.
Il progettista della costruzione Giuseppe Mengoni risolse brillantemente il problema e realizzò un sistema con una rotaia che scorreva a pochi centimetri dai beccucci per tutta la circonferenza della cupola, a formare un anello ad essa concentrico. Su questa rotaia viaggiava un dispositivo a molla simile ad una piccola locomotiva sulla cui sommità veniva acceso un tampone imbevuto di liquido infiammabile.
A questo punto, fatto partire questo apparecchio sulla rotaia e aperti gli ugelli, si accendevano in sequenza tutte le fiamme. Dalle cronache dell’epoca sappiamo che ogni sera all’ora dell’accensione, annunciata da alcuni fischi, si radunava una piccola folla all’ottagono per assistere a questo spettacolo del vagoncino che correva in tondo per accedere le luci, e che dal basso sembrava molto piccolo, come un topolino, proprio come un… rattin.