Elezioni 2018: pancia per pancia…

di Luigi Losa

Caro direttore, non vorrei metterti nei guai con queste mie considerazioni sul voto di ieri (domenica 4 marzo) perché la tentazione, malgrado il passare delle ore resta forte, è quella di ragionare con la ‘pancia’ visto che le elezioni dello sconquasso, checché se ne dica, sono state soprattutto un’espressione della ‘pancia’. 

Ho sentito peraltro decine di commentatori di ogni tipo e livello strologare che l’Italia è cambiata etc. etc. ma sin qui nessuno sa spiegare come e perché è cambiata.

E allora ‘pancia’ per ‘pancia’ mi vien da pensare e dire e scrivere che il Nord ha confermato la sua ‘anima’ (absit inuria verbis), vocazione, tendenza all’egoismo, alla chiusura, e perché non dirlo, al ‘razzismo’.

La questione dell’immigrazione, seria e grave sicuramente, ma non così drammatica come la si vuol far credere, è stata cavalcata sino all’esasperazione, sfruttando, strumentalizzando e speculando anche su fatti gravi, gravissimi, inaccettabili come quello della povera Pamela. Dove però, il fatto che i presunti assassini siano giovani neri è stato una sorta di “valore aggiunto”.

C’è stata poi e anche la squallida esibizione del capopopolo Salvini a giurare su Vangelo e rosario ergendosi a difensore della cristianità e dei suoi valori: ma in nome e per conto di chi?

E qui si dovrebbe fare una volta per tutte chiarezza su quel che la parola di Dio ci dice a proposito della persona in quanto tale, uomo o donna, di qualsiasi colore della pelle, nazionalità, stato sociale, etc. Ma tanti, troppi bravi cristiani sono titubanti, non vogliono fastidi, evitano di parlare per non dividere, ferire, urtare la suscettibilità, etc., etc.

E questo è uno dei frutti amari, se non il più doloroso, della diaspora politica dei cattolici.
Per altro il Sud ha riversato tutto il suo scontento, la sua frustrazione, la sua desolazione contro il governo, lo Stato, e chi stava al potere affidandosi ad un movimento nato praticamente da un insulto generalizzato di un comico trasformatosi politico.

La promessa del reddito di cittadinanza ha fatto il resto autocondannando metà dell’Italia ad una condizione di sussistenza e assistenza persino a scapito della stessa dignità umana. Certo ci sono problemi enormi al Sud come il lavoro e la criminalità organizzata per non dire della corruzione, ma su questo silenzio assoluto o quasi da parte di chi si è proposto alla guida del Paese, in primis il tanto specchiato Movimento 5 Stelle, al di là degli slogan e delle promesse, in concreto cosa si vuole fare non si è sentito e capito.

Per carità non è che il Pd di Renzi, uscito praticamente distrutto dalle urne, sia esente da colpe.
La “fusione a freddo” tra resti della Dc da una parte e del Pci dall’altra è di fatto fallita, ma le responsabilità di chi ci ha lavorato sono enormi da una parte e dall’altra.

L’aver mescolato i ruoli di segretario leader del partito con quello di capo del governo ha sicuramente prodotto una sindrome da onnipotenza corroborata dall’inaspettato trionfo del 40% alle Europee del 2014. Finire in quattro anni sotto il 20% è una disfatta storica peggiore di quella di Waterloo per Napoleone.
Ora siamo in una fase di incertezza totale anche se di riffe o di raffe un governo si farà.

Ma è invece da capire dove stiamo andando come popolo, come nazione, come Paese e prima ancora come società. D’accordo il cambiamento ineluttabile e inevitabile, quasi naturale, ma siamo proprio certi che siamo sulla strada giusta?

E non tanto per i politici e tutto il loro sottobosco, quanto proprio per i cittadini, quelli in nome e per conto dei quali si grida e si esulta alla vittoria.

Non è che siano stati ‘fregati’ un’altra volta?
Caro direttore, così ragiona la mia pancia oggi. Dopotutto, domani è un altro giorno, diceva Rosella O’Hara in ‘Via col vento’ (quella scorsa era pur sempre anche la notte degli Oscar). Ma nello stesso film Clark Gable alias Rhett Butler esclamava a sua volta “Francamente me ne infischio”.

 

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