di Marco Riboldi
Il mondo dello spettacolo, e quello della musica in particolare, è pieno di personaggi che vengono definiti artisti e spesso si definiscono da sé come tali.
Accanto a persone che conoscono i propri limiti e gli aiuti loro necessari, e che proprio per questo riescono a realizzare prodotti rispettabilissimi, prosperano strimpellatori che mettono insieme una melodia in qualche modo suadente (in genere utilizzando quattro accordi che poi ripeteranno tutta la vita) e decidono di essere dei compositori, pur non avendo mai frequentato studi musicali seri.
Il lavoro, in genere professionalmente ineccepibile, dei veri musicisti che intervengono in seguito, elaborando la melodia, orchestrandola ecc. passa sotto silenzio: loro, gli Autori (con la A maiuscola) sono veri musicisti, anche se a sentire la parola setticlavio probabilmente penserebbero a uno strumento di tortura in uso presso la inquisizione spagnola.
Per carità di patria non parliamo poi delle esecuzioni, che senza i miracoli dei bravi tecnici del suono, fonici ecc. rivelerebbero la mancanza di voce e di capacità di moltissimi idoli del pubblico degli stadi ( che tanto ai concerti ci va per cantare in coro, non per sentire musica).
Capita poi che un vero artista preparatissimo e ispirato abbia invece una visione perfino troppo rigorosa del proprio lavoro.
Stiamo parlando di Ennio Morricone, il grande autore da poco scomparso.
Lui aveva studiato con uno dei grandi della musica del ‘900, Goffredo Petrassi.
Con questa frequentazione, Morricone maturò l’avvicinamento alla “musica assoluta”, fatta di sperimentazioni e tentativi di trovare nuove armonie che rinnovassero lo stile musicale, rompendo con un passato considerato fonte di ispirazione, ma solo per procedere oltre.
Non possiamo qui parlare dettagliatamente del lavoro di rinnovamento della musica operato nel corso del ‘900, partendo dalle dissonanze e poi modificando le consuetudini della tonalità e le stesse innovazioni della serialità musicale e della dodecafonia.
E’ un tipo di musica molto lontana dalla orecchiabilità e dalla facile gradevolezza delle colonne sonore che hanno reso Morricone famoso.
Egli sentiva quella “assoluta” come la musica più sua, più vera, mentre la musica da film o da canzonette veniva percepita come quella composta per necessità, pur mantenendo una dignità professionale del tutto apprezzabile.
Il maestro romano riteneva quindi necessario operare una distinzione tra musica da film e musica assoluta: il che non toglie che poi il cammino di Morricone sia stato frastagliato in mille modi e ciò si può notare ascoltando i suoi lavori.
In molte parti delle sue colonne sonore ci sono in realtà inserti di quella “musica assoluta”, con soluzioni armoniche ardite e una ricerca di timbri inusuali, con citazioni di classici, da Bach a Beethoven, con la capacità di richiamare antiche modalità rinascimentali e moderne strumentazioni di derivazione rock.
Sarebbe inoltre interessante, per esempio, pensare all’uso che Morricone fa dei rumori, che nelle sue colonne sonore sono promossi a suoni interpretativi, dalla imitazione musicale dei versi di animali (il coyote in qualche western), al celebre “fischio” utilizzato in “Per un pugno di dollari”.
La sua musica diventa così parte del film a tal punto importante, che ne risulta una fusione di immagine e accompagnamento sonoro perfetta, non tanto perché il suono sia al servizio dell’immagine, ma perché le due manifestazioni artistiche sanno unirsi senza prevaricazioni (e in effetti non so fino a che punto la parola “accompagnamento” sia esatta, nel suo caso).
Va detto però che alcuni critici hanno giudicato che il lavoro di Morricone per i film è sicuramente volto ad esaltare la bellezza e la espressività della ripresa cinematografica, tanto che alcuni pezzi anche celebri, se eseguiti in concerto, risulterebbero, secondo l’opinione riportata, meno efficaci.
Non saprei analizzare a fondo la questione della relazione tra musica ed immagine, cui molti critici cinematografici hanno dedicato pagine e pagine; e qui colgo l’occasione per ricordare, come sempre, che ogni mio scritto sulla musica è lavoro da appassionato, non da esperto.
Morricone manifestava spesso il rammarico di aver trascurato la musica assoluta per quella di maggior consumo, anche se rivendicava la qualità del suo impegno di compositore innovativo anche nelle colonne sonore.
Ma rimane l’impressione, soprattutto leggendo qualche intervista, che restasse in lui il desiderio di “recuperare” il tempo impiegato in questa musica che lo ha reso famoso in tutto il mondo, dedicandosi al comporre alto, ben rappresentato da brani quali “Quattro anacoluti per AV” (AV sta per Antonio Vivaldi) o “ Se questo è un uomo” (ovviamente sul testo di Primo Levi che apre il libro).
A chi non avesse mai ascoltato “questo” Morricone, consiglio vivamente l’audizione almeno di questi brani, che saranno sicuramente graditi anche a chi è meno uso alla musica classica.
Che dire? Certo non spiace che il Maestro abbia trovato una strada così ampia nel campo delle colonne sonore, anche se in effetti i saggi della sua bravura offerti nelle sue composizioni “assolute” farebbero desiderare una più nutrita produzione.
Ecco: a fronte di tanti sedicenti artisti e compositori, in Morricone abbiamo l’esempio di un personaggio che ha lavorato con grande scrupolo, studio, passione, e che non ha mai considerato finito il suo cammino; e che dopo tanti successi, dopo tanta produzione che ha allietato gli ascoltatori di tutto il mondo, trovava modo di rammaricarsi di non aver dedicato più tempo alla “musica assoluta”.
Un bell’esempio di modestia, cui molti dovrebbero ispirarsi.
23 luglio 2020