Sentirsi esiliati da una terra nella quale non si è nati e alla quale, tuttavia, si sente di appartenere profondamente, percepirsi arabi e contemporaneamente occidentali, pensare, fino ad un certo punto della propria vita, che sia necessario scegliere se essere occidentale e cattolico oppure siriano e musulmano, per poi comprendere che le due appartenenze possono convivere in se stessi senza generare alcun conflitto: è questo il punto di partenza che spinge Shady Hamadi a raccontare ancora della Siria e del suo rapporto con questa terra martoriata.
Lo scrittore, che è nato a Milano da madre italiana e da padre siriano, esiliato perché oppositore del regime, è un fervente attivista per i diritti umani e un punto di riferimento per la causa siriana in Italia, nel 2013 ha pubblicato il saggio La felicità araba, nel quale ha raccontato la storia della sua famiglia, quella del regime degli Assad e ciò che è successo dopo la crisi siriana del marzo 2011.
Adesso vuole raccontare del suo rapporto con la terra paterna, che ha visitato per la prima volta solo nel 2001 all’età di dodici anni, e il profondo senso di appartenenza che è progressivamente maturato in lui da quel momento. Analizza ciò che accade in Siria, sia dal punto di vista politico che sociale, e sottolinea, tra le altre cose, che il movimento di protesta nato nel 2011 non è stato guidato da alcuna potenza politica esterna ma è nato spontaneamente come reazione alla dittatura da parte del popolo siriano che, inizialmente, non chiedeva la caduta del regime ma solo una maggiore apertura.
Purtroppo non è stato riconosciuto il giusto valore a questa presa di coscienza civile che si era sviluppata fra i giovani, e, sin dall’inizio, “la rivoluzione venne liquidata dalla propaganda ufficiale come un complotto esterno funzionale alla conquista dell’ultimo Stato sovrano del mondo arabo che non fosse sotto l’influenza di nessuna super potenza”.
Vediamo ciò che accade in Siria ogni giorno, attraverso le immagini dei telegiornali, e ogni giorno ci accorgiamo che non si riesce a trovare alcuna soluzione politica per fermare le atrocità. “La pace in Siria si costruisce se ognuno di noi comincia a ritenere suo dovere che le persone non soffrano”, scrive Hamadi, che continua a portare avanti con determinazione la lotta contro l’indifferenza, quell’indifferenza che fa sentire i siriani persone discriminate, alle quali viene negato il diritto alla vita. Per potersi liberare dalla dittatura e dal fondamentalismo, la Siria non ha bisogno di compassione, ma del riconoscimento dei diritti e dell’autodeterminazione del suo popolo.
Una narrazione appassionata, nella quale Hamadi affronta la tragedia siriana con competenza e sensibilità, partendo dalla storia personale per allargare gradualmente il raggio del racconto, allontanandosi da sé per riportare la storia di una nazione alla luce dei comportamenti dell’intera comunità internazionale, alla quale, nelle ultime pagine del saggio, rivolge un appello molto chiaro: “cerchiamo la pace insieme, attraverso il riconoscimento reciproco del dolore altrui”.
Valeria Savio