Extasis

campo-di-granodi Alessandro Porto

Nel gentil soffio del vento di maggio, là dove i campi si tingono di spumeggianti accenti d’estate ormai prossima, volteggia un foglio, invecchiato, ormai solo con le proprie storie, racconti di antiche avventure o glorie o emozioni passate, che forse nessuno leggerà mai. V’è poi una giovane, i cui capelli si mischiano con il tramonto, che zampetta tra questi campi d’oro come una lepre, a passi larghi. Pare un fuoco che divampa in mezzo al grano, ma senza estendersi, bensì strisciando come una serpe un po’ di qua un po’ di là. C’è un grande salice nel mezzo di questi campi, un salice che piange se stesso; nodoso si atrofizza sul suo tronco ormai marcio e lascia cadere verso il basso i suoi rami, come braccia, di un albero ormai stanco di vivere. Questa è la meta della ragazza. Cerca l’ombra, come tutti coloro i quali dicono d’amare la luce, ma poi non la reggono.

Giunge finalmente sotto il salice e un po’ goffamente scivola verso il terreno, sedendo sul morbido prato. Si guarda intorno. Ammira il cielo azzurro da quella sottile striscia di orizzonte imbrigliata tra il terreno e i rami dell’albero.

È tutto così meraviglioso.

Deve alzarsi: i frammenti secchi dei ramoscelli del triste salice le pungono le cosce e il fondoschiena. Si ripulisce le morbide carni con la mano e si accorge di una piccola formica che si arrampica con determinazione sulle sue mutande. La toglie con garbo, attenta a non farle del male.

A pochi è dato di sentire le carezze del vento sulla pelle, sul corpo quasi interamente scoperto, tra le gambe, sulla schiena, sulla pancia.

La giovane non ci aveva pensato due volte: s’era tolta la maglia, lasciandola tra le spighe di grano, e poi i pantaloncini, lanciandoli in aria, nonostante camminare così in mezzo al campo fosse fastidioso, ché le piante le pungevano i fianchi.

Ma la libertà ha un costo.

Via le calze.

Ed eccola, come una volpe, in mezzo ai campi di grano. Solo la biancheria, d’un bianco acceso, la copre e le dà un tocco di umanità, per il resto è un animale selvatico, libero e vivo, senza preoccupazioni né baggianate per la testa.

In piedi, sotto il salice, nota un foglio spiegazzato tra le spighe.

Lo osserva con stupore.

«Come è arrivato qui? »

Con la stessa curiosità di un bambino lo raccoglie, lo tratta con gentilezza, lo liscia e accarezza. Passa le dita sui solchi neri della penna, quelle rughe testimoni del tempo, che, seppur non molte, raccontano qualcosa che s’è stato scritto, così doveva essere.

Lo guarda ancora un po’, vorrebbe chiedergli molte cose, ma è piuttosto imbarazzata.

Che strana situazione: una ragazza dai capelli arancioni, nuda, davanti ad un vecchio foglio.

Prende un respiro.

Lo legge:

Buongiorno, sono Angelo, spero che si ricordi di me. Mi ha incontrato al ballo la sera scorsa. Volevo appunto ringraziarla della splendida serata passata insieme ieri e renderla partecipe di questo mio pensiero che leggerà a breve.

Tornato a casa, quella sera stessa, ripensando a lei, fui colto da una creatività assolutamente inusuale per me, che non sono bravo in nulla. Allora, approfittando dell’estro, decisi di scriverle una poesia, che le riporto qui di seguito, sperando che le piaccia:

Nei capelli tuoi, color del sangue,

m’affogò lo sguardo

e ora, al non averti,

piango

o forse sanguino

ché son sferzato da mille dubbi.

Ho da dir “ti amo”?

M’è concesso o è ancora presto?

Se mi risponderà, se l’è piaciuta, le manderò il seguito. Il foglio geme, si lacera, tossisce. Ha raccontato l’ultima storia. Spira. La giovane lo posa con cura sul terreno e lo saluta per sempre.

“Che buffa storia. Chissà chi è lo scrittore. La poesia non mi è piaciuta. Banale.”

No, la ragazza non pensa a ciò che scritto, sa che se qualcuno l’ha fatto così doveva essere.

Una folata di vento soffia via il corpo esanime della lettera e scombina i fiammeggianti capelli della giovane, questa guarda il cielo, incorniciato tra i campi d’oro e le foglie verde scuro del salice, e piange dalla gioia.

Plotino affermava che l’obiettivo dell’essere umano fosse ritornare all’Uno, tramite un percorso di raffinamento dello spirito, derivante dalla pratica delle virtù civili (sapienza, temperanza, coraggio e giustizia) e dell’arte, dall’amore e dalla filosofia. Infine serve un atto non ben definito, forse psicologico, che porta all’ extasis, ovvero uscire da sé ed annullarsi nell’Uno.

 

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