F di Facebook

facebookdi Alfredo Somoza

Quando si parla di social media, oggi si fa riferimento soprattutto a Facebook. Il “diario virtuale” inventato da Mark Zuckerberg nel 2004 per il mondo universitario ormai conta quasi un miliardo e mezzo di utenti nel mondo. In pratica, il fenomeno più importante dall’invenzione di Internet, possibile solo grazie a Internet, perché senza l’infrastruttura della rete scomparirebbe in un secondo.

La formula vincente di Facebook è stata quella di fornire, con pochi paletti, una vetrina a chiunque volesse autopromuoversi, contattare vecchi amici, dire la sua, pavoneggiarsi. Il modello Facebook è ricco di contenuti, totalmente autogestiti e alimentati dagli utenti con modalità finora mai viste né previste. Anche per questo è diventato il maggiore veicolo mondiale per le leggende metropolitane, le informazioni false o non verificabili, la propaganda, addirittura per il reclutamento ideologico o militare.

Così come le tessere di fidelizzazione dei supermercati hanno eliminato le classiche, e costose, indagini sui gusti dei clienti – che ora di propria volontà forniscono gratis i loro profili di consumatori ai dipartimenti marketing – Facebook offre un gigantesco spaccato dell’umanità senza filtri e accessibile a tutti. Un patrimonio unico nella nostra storia, dal quale attingono servizi segreti, imprese, sociologi, massmediologi, politici.

Tra l’altro, Facebook è l’unico social in costante ascesa: i suoi competitor non riescono a crescere e Twitter ormai è in declino. 140 caratteri sono pochi per raccontare il proprio mondo e, soprattutto, i tweet sono effimeri, mentre su Facebook tutto rimane per sempre. Poter descrivere nascite, matrimoni, fidanzamenti a una platea almeno teoricamente planetaria è un richiamo al quale, in tempi di disperata ricerca di protagonismo mediatico, pochi possono resistere.

Facebook, che è un grande affare per i suoi proprietari, sfrutta la nuova psicologia di massa globale con un prodotto che si adatta a ogni cultura e società. Il patto con i consumatori è molto semplice: basta che tu mi intesti temporaneamente i diritti delle foto o dei commenti che posti, e io non ti faccio pagare niente. Gioca sul fatto che ancora non è diffusa la consapevolezza del valore commerciale dei contenuti e delle informazioni che si riversano nel web. In realtà, l’azienda di Menlo Park sta accumulando la memoria del futuro ed è questo il suo gigantesco capitale non svalutabile. Se è vero che il contratto prevede che l’utente possa cancellare i propri contenuti, è anche vero che le informazioni, quando sono state condivise da altri utenti, continueranno a rimanere dentro la rete aziendale.

Umberto Eco ha recentemente affermato che i social media hanno dato la parola a legioni di imbecilli. Una visione aristocratica del diritto di parola, che dovrebbe essere garantito anche agli imbecilli. Facebook non discrimina tra l’imbecille e il grande intellettuale, prende tutti e il suo miliardo e mezzo di utenti, incluso Umberto Eco, sono infinitamente più numerosi di quelli di qualsiasi testata giornalistica al mondo. Il punto è: chi legge i contenuti che questa moltitudine elabora ogni giorno? Pochissimi, perché i grandi numeri, anche sui social media, li fanno solo i famosi, cioè coloro che hanno sempre avuto visibilità e ascolto.

Allora che cos’è Facebook se non una finzione, un’illusione di contare qualcosa nella globalizzazione che paghiamo cedendo il nostro pensiero, palesando i nostri gusti agli esperti di marketing o alla politica? Partecipazione 2.0 che, a differenza di quella “de visu”, ha un proprietario, si quota in borsa e ci perseguita 24 ore al giorno per venderci qualcosa.

Alfredo Somoza

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