di Luigi Picheca
Progetto SLAncio ha compiuto 2 anni!
Un pargolo promettente che porta nel suo DNA tutta l’esperienza di chi ha dedicato seriamente la propria vita a chi si trova in stato di bisogno, un’esperienza sul campo come quella del nostro direttore Roberto Mauri che, unita alla capacità realizzativa degli architetti e alla fantasia creativi degli artisti di Koiné e ad altri personaggi, hanno contribuito a creare una simbiosi perfetta per dar vita a questa residenza incantevole ed accogliente.
Quindi un pargolo prodigio che si merita una promozione, da Progetto SLAncio a Realtà SLAncio che gli rende maggiore giustizia.
Da quando la struttura di viale Elvezia ha cominciato ad aprire le proprie porte si sono succeduti un alto numero di ospiti che hanno portato a termine la propria vita assistiti da personale preparato e coscienzioso, in grado di gestire con competenza e discrezione ogni tipologia di ospite.
Oltre a questo compleanno, è toccato a me salire agli onori della giornata in casa SLAncio, ricevendo la gratificante nomina a giornalista dall’Ordine dei Giornalisti di Milano e Lombardia.
Un riconoscimento importante che premia non solo il mio impegno ma di una categoria di persone che hanno perso la possibilità di esprimersi a parole ma non la dignità di vivere con la scomoda compagnia della Sla e di altre patologie neurodegenerative.
Sono trascorsi dieci anni da quando ho avuto sentore di essere invaso da una patologia grave, da quando dentro di me ho cominciato a scorgere il mio tramonto.
Era cominciato il mio autunno e durante il primo ricovero in ospedale della mia vita mi rimbalzavano nella mente i primi versi di una vecchia poesia che avevo imparato frequentando la scuola media:
Les sanglots longs
Des violons
De l’autumne
Blessent mon coeur
D’une langueur
Monotone
Era la mia consapevolezza e la mia rassignazione ad essere ormai vicino al precipizio.
Lacrime di disperazione mi solcavano le gote quando cominciai a vedere i primi decessi dei miei compagni di camera e l’inverno del mio tempo si avvicinava a grandi passi.
Le speranze che io fossi più fortunato di altri era ormai evidentemente sfatato e io dovevo soccombere ma a condizione di rifiutare i presìdi che la scienza mi offriva per sopravvivere e io li richiesi.
A dieci anni da quei momenti mi ritrovo a vivere una stagione di eterna primavera in cui le nuove esperienze si rincorrono con velocità sorprendente, le mie motivazioni hanno ripreso a galoppare e le mie soddisfazioni sono appagate da una grande certezza: quella di dare voce e visibilità a tanti miei colleghi di malattia che ancora non dispongono di un mezzo che gli possa consentire di esprimere liberamente e che li renda partecipi a una vita sociale più intensa ed appagante, a una vita da gustare.
Luigi Picheca