di Mattia Gelosa
Nel 1953 William Wyler portava nelle sale di tutto il mondo il film, “Vacanze romane”, che lanciò inaspettatamente una serie di icone: la prima è ovviamente Audrey Hepburn, subito premio Oscar al suo primo debutto protagonista, l’altra è la Vespa, protagonista di una delle sequenze più celebri del film e di tutta la cinematografia, la terza è proprio la città di A intesa come capitale della vita mondana.
La città usciva da scenari da neorealismo e povertà rosselliniani per avviarsi a diventare la capitale della “Dolce vita” Felliniana, ma qui si mostra anche in tutta la sua bellezza, sia esteriore (il Colosseo, Trinità dei Monti, Castel Sant’Angelo impreziosiscono ogni inquadratura) sia per quanto riguarda i suo tesori nascosti, Palazzo Colonna (nel finale) e Palazzo Brancaccio (luogo della fuga).
Il film divenne da subito un cult e una tappa importante nel percorso della storia del cinema anche per motivi non strettamente legati alla sua storia e alla sua qualità. Analizzando e osservando attentamente questa commedia romantica troviamo diversi altri punti di interesse.
La storia – che valse a Dalton Trumbo l’Oscar per il miglior soggetto – vede la giovane principessa Anna in visita alle capitali europee. Roma è l’ultima tappa e, durante questo viaggio noiosissimo, proprio nella capitale italiana scorge dalla finestra persone in festa: si rende conto di vivere in una prigione dorata e così la notte fugge via per concedersi 24ore di anonimato e di svago.
Incontrerà per caso Joe, un giornalista e trascorrerà con lui e con un suo amico reporter una serie di avventure sempre più divertenti e sempre più lontane dal rigore e dalle formalità reali. Lui scoprirà presto la vera identità di lei e la asseconderà per ricavarne uno scoop. Lei, che ignora la professione di Joe, ha solo desiderio di vivere momenti spensierati: dopo rilassanti caffè, passeggiate, gelati, uno spericolato giro in Vespa e una serata danzante che finisce in una rissa da slapstick comedy, non poteva che sbocciare l’amore.
Il finale porrà in modo agrodolce una secca chiusura a questa giornata da favola.
“Vacanze romane” è un film leggero, divertente e sentimentale, un capolavoro di sobrietà ed umorismo, dalla regia molto raffinata e moderato, dove l’eccesso comico serve solo a fare parodia e non si arriva mai al melenso.
L’impianto della storia ribalta in qualche modo la storia di Cenerentola e vi sono molte allusioni. sia quando viene citata direttamente dalla principessa, perché rientra a casa entro mezzanotte, sia dalla prima bellissima scena in cui, a un ricevimento, Anna gioca con la sua scarpetta e la perde.
Se nella favola la ragazza popolana bacia il principe, qui tocca allo squattrinato Joe riuscire a baciare una donna nobile, ma che vorrebbe tanto non esserlo.
Anna ci insegna anche a rispettare i propri ruoli e i propri doveri: la vita difficilmente ci riserva solo piaceri e ogni lavoro ha pregi e difetti. Alla fine di questa giornata romana lei comprende di avere dei doveri verso il suo popolo e capisce che è giusto tornare al suo palazzo, ai ricevimenti, alle vallette, all’etichetta.
Anche Joe, seppur con un attimo di reticenza, comprende come non sia giusto né possibile che la loro storia diventi qualcosa di più di un fugace svago pomeridiano e si appresta a tornare dal suo direttore e alla vita di sempre.
La favola hollywoodiana e disneyana si spezza e la magia finisce, ma resta per sempre impressa nei loro occhi che si cercano e sulle fotografie che immortalano quei momenti che saranno eterni.
Come la bellezza del centro di Roma, specialmente se lo si attraversa in Vespa in un caldo pomeriggio estivo.