Firenze e il Rinascimento un tutt’uno, due nomi che la storia ha appaiato. Una nuovo modo di rappresentare, di pensare il mondo, di raccontare la fede, nasce qui sulle rive dell’Arno. Complice la cultura locale, l’Umanesimo, la situazione politica. Complice la fortunata circostanza di chi viveva in quella terra e, nel proprio DNA, aveva un che di geniale. Siamo nei primissimi anni del XV secolo.
Esordiscono in quel tempo Filippo Brunelleschi, scultore e architetto di prim’ordine, Donatello e Masaccio. I loro lavori, dirompenti per quell’epoca, non vengono graditi dalla committenza. E’ la presenza di Lorenzo de’ Medici detto il Magnifico a scatenare la loro creatività, accogliendo il nuovo linguaggio artistico. Una visione del mondo che metteva al centro l’uomo e, nel contempo, sapeva far proprie le nuove conoscenze tecniche e scientifiche.
La corte dei Medici, con i suoi artisti e intellettuali, fa scuola e presto influenza Signori, Duchi, Principi e altri potenti, compreso il Papa. Si pensi solo alla Cappella Sistina, affrescata da grandi artisti cresciuti a Firenze come Botticelli, Domenico Ghirlandaio o il Perugino.
Un contesto nel quale, dopo i fasti dei Medici e della Chiesa, interviene il predicatore francescano Girolamo Savonarola, fustigatore di costumi che influenzò moltissimi artisti. Pittori e scultori recepirono quel messaggio e fecero propria quella lezione. In questo clima culturale, a meta del Quattrocento, compaiono altri tre giganti dell’arte come Leonardo Da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio .
Cibo di strada
Il lampredotto fa parte a pieno titolo della grande famiglia del quinto quarto, cioè delle interiora e frattaglie dell’animale. E’ cugino della trippa ma deriva da uno stomaco diverso del bovino, l’abomaso tratto dell’apparato digerente che comprende una parte magra, chiamata gala ed una parte chiamata spannocchia, un po’ più grassa e tenace, dal colore più tenue e dal sapore leggermente più rotondo.
Di colore scuro, prende il nome dalla lampreda, un’anguilla primordiale di cui ha la forma e una volta molto diffusa in Arno. A Firenze è un’istituzione e, come tutte le cose fiorentine, un vanto.
Presente da secoli per le strade della città sui “banchini dei trippai”, piccoli chioschi su quattro ruote, portatori e testimoni di una tradizione popolare conservata nel tempo sotto l’ombra di antichi palazzi e grandi opere d’arte.
Viene servito dai trippai nel tipico panino chiamato semelle con l’aggiunta, secondo il proprio gusto, di condimenti a scelta, che vanno dal semplice sale e pepe, alla classica salsa verde, fino ad arrivare all’olio piccante. Immancabile conclusione del rituale con il mastro trippaio che farà incontrare la metà superiore del panino con il sugo del pentolone in un ultimo appetitoso bacio.
Il piccolo rottamatore fiorentino
Non sappiamo se abbia l’intelligenza di Machiavelli o il carisma di La Pira, mitico sindaco di Firenze. Certamente lui … buca il video.
Il più giovane Presidente del Consiglio della storia d’Italia è veloce, scaltro, deciso. Conosce i ritmi dello spettacolo, è un battutista nato. Ama il potere. Nato a Firenze nel 1975, Matteo Renzi fa apprendistato negli scout. Cattolico, presidente della Provincia, sindaco. Palazzo Vecchio gli va stretto. Lui sogna palazzo Chigi. Fa tesoro della sconfitta che Bersani gli infligge nelle primarie del 2013 e torna alla carica. Si prende il partito e poi la Presidenza del Consiglio. E’ leader del centro-sinistra, ma va oltre. Attento all’elettorato moderato, dialoga con Forza Italia, non disdegna l’aiuto di Verdini, che gioca contro Berlusconi e contro la sinistra interna del pd. Vuole occupare il centro. In lui non c’e’ traccia di pensiero politico. La tattica è l’acqua in cui nuota. Convince. Rappresenta il nuovo. Sembra mosso da un impulso naturale.
“Almeno- si sente dire in giro – lui fa”. E i risultati, in parte, si vedono. Certo in fondo se a lui è consentito fare, se a lui gli italiani alle europee del 2014 hanno riconosciuto un consenso del 40% è perché gli altri, la vecchia guardia anziché fare, ha poltrito, ha bivaccato sugli scranni parlamentari. Ha pensato più al vitalizio che al futuro del Paese. Più agli equilibri di potere a Roma che ad una moderna sinistra europea. Possibile, per fare un solo esempio, che i” rottamati” non avessero annusato il marcio che esalava da quel bubbone che i magistrati avrebbero chiamato mafia capitale?