Leggendo la biografia di Domenico Quirico, giornalista di guerra del quotidiano La Stampa, imprigionato in Siria per cinque mesi, gli ho immediatamente associato l’immagine di un eroe, di una persona talmente forte da perdonare i suoi sequestratori perché, se così non fosse, sarebbe ancora loro prigioniero.
Forza, ma anche debolezza, perché di fronte alla nostra domanda: “Ha avuto bisogno di un sostegno psicologico al suo ritorno?”, non mi aspettavo la risposta: “Se avessi bisogno di un sostegno psicologico, sarei in manicomio”. Un’affermazione del genere è discriminante per noi che, con i nostri problemi psichici, i nostri ricoveri in Psichiatria, le nostre permanenze in comunità psichiatriche, abbiamo cercato di fargli capire che siamo persone sensibili, ma in un certo modo prigionieri di qualcosa che non riusciamo a controllare.
Questa intervista è stata un momento gratificante, che mi ha permesso momentaneamente di uscire da questa gabbia di fragilità, che ho paura di abbattere.
Per il resto, il folle è proprio Quirico, che dopo poco tempo dalla liberazione, ha deciso di ritornare nella “Terra del male”, la Siria. Forse masochismo o mania di onnipotenza?
Grande uomo, super intelligente e competente, che pecca però di mancanza di umiltà.
A mio parere non potrà mai essere lo stesso uomo di prima, dopo la prigionia: migliore, peggiore? Non so. Secondo me più misantropo, come emerge nell’intervista.
Monica