di Francesca Radaelli
Vincono tanto ma spesso non contano abbastanza. Che le donne dello sport italiano, ancor prima del fischio d’inizio, partano già in svantaggio rispetto ai colleghi maschi, è oggi un fatto inconfutabile. Eppure la pratica sportiva ha molto da offrire al mondo femminile, in termini di valori e possibilità di crescita personale. Se ne è parlato venerdì 29 marzo a Monza, nel corso del convegno – molto partecipato – “Donne: etica e valori nello sport”, organizzato dalla sezione locale della UPF Universal Peace Federation e dalla Uisp Unione italiana sport per tutti presso l´Urban Center, e condotto da Carlo Chierico, presidente UPF Monza che ha introdotto la serata leggendo un messaggio di Claudia Giordani, campionessa di sci e ora delegata Coni, e dalla giornalista sportiva Serena Scandolo.
L´iniziativa è stata sostenuta dal Comune di Monza, rappresentato nell’occasione dall’assessore allo sport Andrea Arbizzoni che, dopo aver ricordato con orgoglio la recente vittoria – lo scorso mercoledí 27 marzo – della squadra monzese di pallavolo femminile alla Challenge Cup, ha sottolineato come la disuguaglianza tra donne e uomini nello sport sia oggi un problema da risolvere a livello culturale e anche politico: “Spesso le donne vincono più degli uomini, ma hanno stipendi più bassi e minori tutele. Non è un caso che non abbiamo mai avuto un presidente del Coni donna, e che anche gli allenatori delle squadre femminili siano per la maggior parte uomini. Dai vertici arriva spesso un messaggio sbagliato, e occorre lavorare a livello concreto per andare oltre gli stereotipi, per cambiare davvero le cose. Perché lo sport può davvero rappresentare per tutti un´importante palestra di crescita come cittadini”.
Sull’argomento si è soffermata anche Serena Scandolo, che ha sottolineato come siano solo quattro a oggi le discipline sportive in cui le donne possono vantare uno status di professioniste al pari degli uomini – calcio, golf, ciclismo e pallacanestro. Tutti gli altri sport , se praticati da donne, diventano dilettantistici. “Questo comporta forti disuguaglianze rispetto al mondo maschile, in termini non solo di stipendi ma anche di tutele, incluso il capitolo della maternità”, assai spinoso per una donna di sport per la quale il corpo è uno strumento professionale indispensabile. Se a ciò si aggiunge l´irrisione cui sono bersagliate spesso non solo le sportive ma addirittura anche – stando alla cronaca più recente – le giudici di gara di sesso femminile, l´ambiente sportivo non parrebbe certo il contesto ideale per una ragazza che voglia esprimere e sviluppare la propria personalità. Eppure le possibilità ci sono anche per le donne.
Lo ha raccontato in modo molto incisivo Josefa Idem, campionessa olimpionica di canoa, nell´intervista trasmessa come contributo video durante la serata: “Il mio primo problema, da ragazzina, è stato che il mondo degli adulti si è letteralmente buttato sul mio talento, tanti hanno cercato di sfruttarlo più per i loro fini che per la mia crescita di atleta”, ha raccontato la Idem. “Il secondo problema è stato che il talento lo ho dimostrato in uno sport che era considerato maschile, di muscoli e di fatica. Ho sentito la mia femminilità fortemente messa in discussione e questo non è facile per un´adolescente”. È stato l´incontro con il futuro marito a permetterle di raggiungere il punto di equilibrio, conciliando i successi sportivi con la vita familiare: “Alle ragazze che oggi iniziano a entrare nel mondo dello sport voglio dire di tenere duro e non arrendersi. Per gli adulti che le circondano l´appello è invece a vivere in modo più ‘ecologico’ l’approccio allo sport”. La storia di Josefa, in fondo, è la stessa di molte donne di sport.
Alcune tra queste hanno preso la parola durante il convegno, raccontando a loro volta il proprio percorso. C´è la monzese Antonella Mauri, campionessa europea e mondiale di pattinaggio a rotelle che ora insegna agli studenti delle scuole non solo la pratica sportiva ma soprattutto i suoi valori, e che sottolinea come quelle fatte nel corso della sua vita di atleta siano state “scelte e non rinunce”: “Tornando indietro, le rifarei tutte. Per questo faccio il tifo per tutte le giovani che oggi si affacciano al mondo dello sport: forza ragazze!”.
C’è Vissia Trovato, campionessa mondiale di pugilato, che spiega cosa significhi per una donna competere sul ring: “E’ uno sport in cui ci si confronta con il proprio corpo e questo confronto, nel mio caso declinato al femminile, ha un fortissimo valore terapeutico”. C’è Francisca Cristina Martinez, che come allenatrice vive la sfida di una squadra di calcio femminile di donne sudamericane. C’è Silvia Arnaboldi, che porta avanti l’impegno di atleta (lancio del martello) della Forti e Liberi insieme a quello di allenatrice, un ruolo in cui le è affidata una missione fondamentale: “Far capire che lo sport insegna il rispetto verso le persone. Perché posso dire di essere il migliore solo se lo dimostro, rispettando il mio avversario”.
E poi c’è il futuro dello sport femminile, che si intravvede per esempio tra le parole delle giovani atlete che giocano a calcio nel Fiammamonza, Cecilia e Giulia: uno sport come il calcio, considerato ‘maschile’ nell’immaginario collettivo, rappresenta per loro una parte della vita di cui non possono più fare a meno, tanto che nella partita del weekend vivono “i 90 minuti più belli della settimana”.
Ma il futuro dello sport passa anche attraverso persone come le due giovani pallavoliste della squadra GSO Regina Pacis – Eleonora e Dalia: per loro a pallavolo si dovrebbe poter giocare anche con il velo – come fa Dalia – senza per questo suscitare perplessità negli avversari o nell’arbitro: “Proprio praticare insieme lo stesso sport, seguire le stesse regole, può insegnarci a conoscerci e rispettarci, anche tra persone che hanno culture diverse”.
Lo sport ha in sé una dimensione inclusiva che può essere ulteriormente amplificata. Come accade con il Baskin, il basket inclusivo, che non solo fa giocare insieme maschi e femmine ma anche persone con disabilità insieme ai normodotati: “I punti segnati dai giocatori sulla sedia a rotelle possono far vincere o perdere una squadra”, spiega Mariza Perucci, presente alla serata insieme ad alcune giovani giocatrici del Sanfru Basket. “ E per tutti lo sport è soprattutto gioia di stare insieme, ciascuno con le sue caratteristiche”.
La dimensione inclusiva dello sport si è manifestata in concreto due giorni dopo, domenica 31 marzo, con il torneo interetnico di pallavolo, che si è svolto presso la palestra della scuola Bellani. Sei squadre di ragazze e giovani mamme del territorio, nel cui entusiasmo si ritrova “il bicchiere mezzo pieno” dello sport femminile di cui ha parlato in apertura e in conclusione Serena Scandolo. A loro e alle tante come loro è rivolto l’augurio che in modo implicito o esplicito hanno espresso tutte le relatrici del convegno di venerdì: “Forza ragazze!”