François Truffaut, artista a tutto tondo

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di Mattia Gelosa

Poche figure furono influenti, per quanto riguarda l’arte del cinema, come il francese Truffaut, prima critico e poi regista in prima persona di capolavori indiscussi.

Nel 1951 il padre della critica cinematografica moderna, André Bazin, fondò la rivista Cahiers du Cinema, un giornale parigino che si impegnava in battaglie a favore del cinema di coloro che si occupavano non solo di scegliere le inquadrature con cui raccontare storie (i registi tradizionali), ma che erano anche scrittori delle sceneggiature e dei soggetti.  Queste nuove figure davano vita a opere che ruotavano interamente intorno a loro, partendo da tematiche ricorrenti fino ad elementi autobiografici. Nasceva in questo periodo l’appellativo di “autore cinematografico”, il vero artista del cinema,  che si prendeva libertà stilistiche e rompeva con i canoni estetici tradizionali.

Rossellini e Hitchcock diventano due tra i grandi modelli da seguire e in questo fervido periodo culturale Truffaut scrive molti saggi, quasi tutti di cinema, ma con diversi accenni di veduta generale sulla sua Francia.

Con lui si veniva a creare la figura di un intellettuale a tutto tondo, appassionato di ogni forma d’arte e capace di uno sguardo consapevole su tutti gli aspetti della realtà,  come i nostri Umberto Eco e Dario Fo, che sapevano andare oltre la loro materia e abbracciare davvero un sapere vastissimo.

Anche la Francia trova in Truffaut la figura, appunto, dell’intellettuale per eccellenza. Si diceva, inoltre, che Truffaut è stato anche regista: dopo molto lavoro di teoria e di saggi critici, infatti, alcuni cinefili legati alla Nouvelle Vague, decidono di mettersi in gioco in prima persona e Truffaut è, con Godard, quello che ottiene i risultati migliori.

La sua opera prima è il sensazionale I 400 colpi, titolo che riprende un modo di dire francese che ricalca il nostro “fare il diavolo a quattro”. Il film, vincitore nel 1959 del premio alla regia a Cannes, racconta la storia del ragazzo ribelle Antoine Dionel, una sorta di alter ego del regista, alla continua ricerca di affetti e attenzione. A scuola esistono solo regole e in famiglia nessuno si cura davvero di lui.

Dopo scherzi, bugie e un furto, viene rinchiuso prima in cella e dopo in un riformatorio dal quale riuscirà a fuggire per coronare il suo sogno: vedere il mare. La spiaggia e la distesa d’acqua raggiunte freneranno però la sua corsa contro la polizia, divenendo insieme simboli di libertà e di prigionia. Il film termina così sul volto del ragazzo, un volto pieno di dolore che chiude uno degli epiloghi più famosi di sempre.

L’altro grande capolavoro di Truffaut, Effetto notte, è una commedia del 1973 premiata con l’Oscar al Miglior Film Straniero. E’ la storia di un regista che gira un film e mostra tutti i trucchi del mestiere, per cui si può girare in estate una scena invernale e in pieno giorno una scena notturna. Girato anni dopo la Nouvelle Vague, il film spiega come il perno debba essere la figura unica dell’autore e come sia difficile per questi gestire tutta la troupe e resistere alle influenze esterne.

A quest’opera è chiaramente ispirato 8 e ½ di Fellini, per citare un titolo a caso influenzato dal lavoro del francese.

Altro film noto è L’uomo che amava le donne del 1977, titolo che ha  ispirato la serie di Stieg Larsson, iniziata co Uomini che odiano le donne.

Nel 1984 Truffaut viene colpito da un tumore al cervello e nel giro di pochi mesi si aggrava e muore a Parigi il 21 ottobre dello stesso anno. Grande critico, grandissimo teorico e innovatore del cinema, nonché attore e saggista, Truffaut rimane ancora oggi uno degli intellettuali più noti della Francia del dopoguerra.

Gli è stato giustamente concesso di riposare nel cimitero degli artisti di Montmartre.

 

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