George Stephenson e la locomotiva a vapore

stevdi Giovanni Di Pasquale

La storia della civiltà deve tenere conto anche dei sogni, delle ambizioni e delle lucide visioni di quanti nel tempo hanno immaginato traguardi apparentemente irrealizzabili: “Infatti i Feaci non hanno piloti, le loro navi non hanno i timoni che hanno le altre, ma sanno da sole i pensieri e la mente degli uomini, conoscono le città e i grassi campi di tutti e attraversano veloci l’abisso del mare, avvolte nella foschia e in una nube: non temono mai di soffrire alcun danno o di andare in rovina” (Odissea, VIII, 555).

Le parole dell’antico poeta rivelano come già in età arcaica si sognasse l’esistenza del mezzo di trasporto per eccellenza, le navi, capaci di avanzare da sole a prescindere dall’azione dei venti e degli uomini sui remi.

Tra Medioevo e Rinascimento il sogno riprende forma: “Arriveremo a costruire macchine capaci di spingere grandi navi a velocità maggiori che un’intera schiera di rematori e bisognose solo di un pilota che le governi. Arriveremo a imprimere ai carri velocità incredibili senza l’aiuto di alcun animale. Arriveremo a costruire macchine alate, capaci di sollevarsi nell’aria come gli uccelli”; con queste profetiche parole il filosofo inglese Ruggero Bacone (1214–1294) celebrava l’impetuosa crescita della tecnica e dei suoi interpreti verso traguardi apparentemente impossibili. Nonostante le intuizioni di Ruggero Bacone, passeranno ancora molti secoli prima che il sogno del trasporto meccanico diventi realtà. Siamo ancora in Inghilterra, la vicenda ha luogo nella prima metà del XIX secolo e ne sono i principali protagonisti George Stephenson (1781 – 1848) e suo figlio Robert.

Figlio di un addetto alle pompe di una miniera, George Stephenson comincia a studiare solo all’età di 18 anni sviluppando una particolare passione per la meccanica; i risultati non si fanno attendere e nel 1814 realizza un apparato meccanico su rotaia che grazie alla forza del vapore permette un più celere trasporto dei materiali estratti in miniera.locomotiva

Del resto, l’idea era in teoria semplice ed era già stata notata nell’antichità (senza avere seguito): una sorgente di calore porta all’ebollizione una certa quantità di acqua producendo vapore che, espandendosi, preme sulle pareti del contenitore trasformandosi in energia meccanica; in altre parole, opportunamente convogliata l’energia termica poteva trasformarsi in energia meccanica. Nel I secolo d.C. Erone di Alessandria, uno dei massimi scienziati del mondo antico aveva descritto l’eolipila, una sfera di metallo piena d’acqua e munita di bracci con foro: posta a scaldare su una fiamma, cominciava a ruotare su se stessa per effetto del vapore. Stesso concetto metteva in pratica l’”architronito” di Leonardo da Vinci, un’arma da fuoco che sfruttava la forza del vapore acqueo per sparare un colpo di cannone.

Negli anni ’70 del Seicento il francese Papin aveva effettuato studi e ricerche sulla “pentola a pressione”, ma era proprio l’eventualità di utilizzare questa energia per il pompaggio dell’acqua dalle miniere ciò che maggiormente interessava. Alla soluzione di questo problema era destinata la macchina a vapore di Newcomen, realizzata ai primi del ‘700, poi perfezionata da J. Watt verso la metà del XVIII secolo.

Grazie a questo bagaglio di fondamentali esperienze, Stephenson comincia a lavorare a un’idea nuova e rivoluzionaria, adoperare la forza del vapore per il trasporto di merci e persone su grande scala. La grande occasione giunge negli anni venti dell’800: nel 1821 Stephenson presenta infatti il progetto, approvato nel 1823, per una strada ferrata fra il porto fluviale di Stockon-on-Tees ed il bacino carbonifero di Darlington. Per compiere il  viaggio inaugurale, nel 1825, realizza assieme al figlio Robert la “Locomotion”, una locomotiva che trasporta 38 carrozze e oltre 400 persone entusiaste della velocità raggiunta, compresa tra i 15 e i 25 km/h. Apparve subito evidente che vi era maggior interesse per lo spostamento delle merci che non delle persone.

Difatti, nel 1829  viene realizzata la linea Liverpool-Manchester per la quale gli Stephenson progettano una nuova locomotiva, la “Rocket” (“Razzo”), che viene preferita alle altre concorrenti per aver toccato punte di circa 50 km/h a pieno carico: al suo interno vi era una caldaia di nuova concezione nella quale l’acqua veniva vaporizzata a contatto con 25 tubi surriscaldati dal fuoco. Nello stesso anno, in Francia, si realizza la linea tra Saint-Etienne-Lione e nell’ottobre del 1839 si inaugura la prima ferrovia italiana che collega Napoli a Portici.

La svolta è compiuta, il sogno avverato: uomo, animali e corsi d’acqua non sono più la sola fonte di energia, ci si può spostare da un luogo ad un altro grazie alla forza del vapore e ai progressi della tecnica. Locomotive e navi a vapore diventano i simboli della Rivoluzione Industriale e del cambiamento epocale in corso: il sogno di Omero e le lucide visioni di Ruggero Bacone sono diventate realtà.

Ancora oggi è possibile, recandosi a Newcastle Upon Tyne nel nord dell’Inghilterra, visitare lo “Stephenson Railway Museum” e ripercorrere questa storia: dal modellino per il trasporto del carbone alle prime locomotive, ben presto adottate non solo nel Regno Unito ma anche in buona parte dell’Europa e dell’America.

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