Gioele Dix porta in scena l’Odissea di Telemaco

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di Francesca Radaelli

Un padre mai conosciuto, un padre illustre e lontano, che l’assenza rende ancora più ingombrante. Un viaggio alla ricerca di questo padre di cui si attende il ritorno, che sarà ritrovato solo dopo il ritorno a casa del figlio. Così inizia l’Odissea. Prima del viaggio epico di Odisseo, infatti, nei primi quattro libri del poema, Omero racconta il viaggio del figlio del re di Itaca: Telemaco.  

Alla ricerca di notizie del padre, ma in fondo alla ricerca di se stesso, di una maturità, di un nuovo se stesso adulto. Proprio da questo luogo letterario, dal viaggio raccontato nei primi quattro libri dell’Odissea, prende le mosse il nuovo spettacolo di Gioele DixVorrei essere figlio di un uomo felice”, in prima nazionale in questi giorni al Teatro Manzoni di Monza, fino a domenica 16 ottobre. Il titolo riecheggia il verso 217 del primo libro dell’Odissea: è la frase che Telemaco pronuncia parlando con la dea Atena che, assunte le sembianze del re dei Tafi, è giunta a Itaca per esortare il figlio di Odisseo a intraprendere un viaggio in cerca di notizie del padre mai conosciuto.

Il palco è tutto per Gioele Dix, che esordisce recitando i primi versi dell’Odissea in esametri greci: “Non vi hanno detto che lo spettacolo sarà tutto in greco?”, scherza con il pubblico. Sul palcoscenico una scrivania da professore di liceo, nei cassetti della scrivania l’Odissea nella traduzione di Maria Grazia Ciani. Ma non c’è solo quella. Perché a un certo punto dal cassetto esce anche un volume di racconti di Paul Auster, e il pubblico ascolta quello che narra di un padre, un figlio e una torta molto particolare. Oppure i versi del poeta Ghiannis Ritsos che raffigurano Elena, la più bella donna del mondo, alle prese con la vecchiaia e la bellezza che sfiorisce. E poi le pagine dell’Immortalità di Milan Kundera che descrivono un’anziana signora in piscina che per un attimo, salutando il giovane maestro di nuoto, dimentica l’età del suo corpo. E poi ci sono i film americani e i ricordi personali, i racconti ironici del proprio padre e del proprio nonno e quelli dei padri moderni che portano i figlioletti al ristorante per la rovina di tutti i clienti del locale.

Ma tutto parte, e ritorna, da Telemaco, dal suo viaggio a Pilo e Sparta, in cerca di notizie presso gli antichi compagni di battaglia di suo padre. Il figlio di Odisseo non conosce l’arte dei bei discorsi, è in soggezione di fronte ai vecchi guerrieri a cui fa visita, a Nestore e a Menelao, non osa avvicinarsi perché ‘non è bello che un giovane interroghi un anziano’. E un Gioele Dix in forma smagliante riesce a infilarci anche una lezione spiritosa e ironica di etimologia sulla parola greca ‘Aidòs’, che vuol dire ‘non bello’ nel senso di ‘vergognoso’ e ‘poco rispettoso’, e che come tutte le parole del greco antico “ha sedicimila significati”, come ben sanno coloro che si sono trovati alle prese con una versione al liceo.

Solo sul palco, Gioele Dix è bravissimo a passare da un registro all’altro, dalla comicità al dramma, da Omero agli scrittori più recenti, dalla letteratura al cinema, da Telemaco a se stesso. Guardandolo e ascoltandolo davanti alla sua cattedra/scrivania mentre incanta il pubblico intermezzando pagine letterarie e racconti comici, l’Odissea appare molto più divertente e leggera di quanto non sia mai stata. Anche se, come sottolinea puntualmente lo stesso Gioele Dix, le battute che Telemaco si ostina a ripetere per fare il simpatico con gli ospiti che giungono a Itaca, non fanno ridere proprio nessuno.

In ogni caso, alla fine l’universo di Omero non sembra poi così distante dal nostro mondo. Dopotutto il proemio dell’Odissea è una specie di trailer cinematografico, i sacrifici agli dei sono come immense grigliate, Elena di Troia (anzi di Sparta) è praticamente ‘una Monica Bellucci al cubo’. Il ‘biondo Menealo’ a ben guardare può davvero essere definito il grande cornuto della storia greca, uno sborone che è  “biondo” probabilmente solo perché si tinge i capelli. Ma soprattutto, Telemaco non è altro che un figlio come tutti noi che, partito in cerca del padre, al ritorno dal suo viaggio non solo si trova finalmente davanti al padre mai conosciuto, ma finalmente si scopre  adulto lui stesso. Per un figlio ogni padre è un eroe, anche se non si chiama Odisseo. E l’Odissea di Telemaco, dopotutto, è quella di tutti i figli chiamati a meritarsi l’eredità dei propri padri.

 

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