Il futuro del welfare

Giorgio FiorentiniA colloquio  con  prof Giorgio Fiorentini, docente di management delle imprese sociali all’ Università Bocconi di Milano. Presente e futuro del welfare. Intervista di Daniela Zanuso

1) Verso quale modello di welfare ci stiamo incamminando?

Ci stiamo avviando verso un modello di welfare  comunitario con priorità sui i bisogni principali e universalistici, mentre tutti gli altri bisogni necessiteranno di un contributo da parte dei cittadini. Se i cittadini contribuiranno ai servizi sociali ciò significa che serviranno criteri e capacità di valutazione basate su dati quantitativi e meno improntate sulla discrezionalità. In buona sostanza ci vuole una maggiore  metrica di valutazione sull’offerta dei servizi . Gli indicatori non potranno essere di tipo generale, (esempio il servizio è di alta, buona, scarsa qualità, ecc … ) ma dovranno avere dei parametri. Il concetto della metrica e della quantificazione è un concetto su cui bisogna lavorare.

2) Possiamo immaginare un modello di sviluppo fondato sull’impresa sociale?

Oggi le imprese sociali in Italia sono il 4% del PIL per un totale di 301.000 unità con circa 650.000 dipendenti e oltre 5 milioni di volontari. Non è che fanno il differenziale di un modello di sviluppo, ma fanno una condizione indispensabile del modello di sviluppo, cioè una condizione necessaria, ma  non sufficiente. Il cittadino oggigiorno senza il no profit riscontrerebbe grosse lacune. Oggi ci sono 70 mila tra associazioni sportive e culturali,  i musei per esempio sono no profit, i teatri a Milano sono per l’80% cooperative culturali e così tante altre realtà. Le no profit coprono la maggior parte delle esigenze di servizi dei Comuni. Naturalmente, anche le profit possono fare sussidiarietà come per esempio il welfare aziendale o altri servizi. Il rapporto fra mondo profit e no profit non può limitarsi alla filantropia. Occorrono accordi o protocolli in modo che l’aspetto finanziario si stabilizzi: le imprese potrebbero introdurre la regola che una quota degli utili sia destinata al benessere sociale.

3) Il modello di welfare che ci lasciamo alle spalle ha dimostrato tutti i suoi limiti. Resta qualcosa da salvare?

Qualsiasi tipo di modello non può non tener conto del passato. Occorre  ristrutturare l’offerta di servizi,  che deve trovare criteri di sostenibilità economica per raggiungere il risultato. E’ evidente che il mondo del terzo settore deve ripensare al suo modello. E’ anacronistico, per il management delle imprese sociali, attendere l’aiuto dall’imprenditore di turno, mentre sarebbe lungimirante entrare in un’ottica di joint venture.

4) Il futuro?

Il suggerimento è di collaborare, in modo da diminuire i costi e crescere in efficienza. Alcuni servizi potrebbero essere consorziati, come la comunicazione, il fundraising, la condivisione delle sedi. Non a caso le no profit che hanno applicato questi strumenti, sono quelle che sono cresciute maggiormente e si sono strutturate riuscendo  a raccogliere milioni di euro che consentono loro una discreta sopravvivenza. Delle 301.000 imprese no profit attuali, ce ne potrebbero essere la metà, più efficienti e con maggior prospettive di crescita. Questo vuol dire che devono mettersi insieme.

Grazie Professore.

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