Giornata del malato: il senso del pianto di Dio

di Francesca Radaelli

Dio che rinuncia alla sua onnipotenza per piangere insieme all’uomo sofferente. Il Dio degli Ebrei e dei Cristiani che si ritrae e si restringe per dare spazio alla creazione del mondo. Dio, il giudice dell’Antico Testamento, che soffre di fronte al peccato dell’uomo.

Il mistero della sofferenza di Dio e dell’uomo è il tema scelto da Caritas Monza in occasione della Giornata del Malato di quest’anno. Tema che è stato sviluppato nel corso del convegno organizzato in collaborazione con la ASST di Monza e la Parrocchia dell’Ospedale San Gerardo, in diretta su youtube lo scorso sabato 13 febbraio.

L’incontro è stato moderato dal giornalista Fabrizio Annaro e ha visto come ospiti – insieme a don Enrico Tagliabue,  sacerdote della Parrocchia dell’Ospedale San Gerardo e a Luciano Angaroni, Vicario della Zona Pastorale V di Monza e Brianza – il pedagogista Raffaele Mantegazza, docente dell’Università Bicocca di Milano, e Luciano Manicardi, priore della Comunità di Bose.

Fabrizio Annaro e, a destra, don Enrico Tagliabue

Dio piange con noi? Questa la domanda intorno a cui verte la riflessione. Una domanda, spiega Fabrizio Annaro, che prende spunto dalle parole pronunciate da papa Francesco all’incontro con i genitori del sacerdote ucciso in strada a Como qualche mese fa. Una domanda che si fa però universale, allargando il campo alla totalità della sofferenza umana, individuale e collettiva, storica e contemporanea.

Pensare, di fronte alla sofferenza

“Siamo autorizzati a pensare”, ha detto recentemente l’arcivescovo di Milano Mario Delpini.

Monsignor Luciano Angaroni ha ricordato le parole dell’arcivescovo Mario Delpini

E ciò che colpisce durante gli interventi dei due relatori è proprio la densità del pensiero e della riflessione, che toccano temi teologici e filosofici decisivi, anche se spesso ‘dimenticati’- o più o meno consapevolmente ‘rimossi’ – nel dibattito pubblico attuale. Eppure la sofferenza è un universale dell’esperienza umana. Così come nella Giornata del Malato è forse opportuno ricordare – come fa in apertura monsignor Angaroni – che la condizione di vulnerabilità ci coinvolge tutti quanti, in quanto uomini. Nessuno escluso.

In tempi complessi come quelli che stiamo vivendo, in cui alla sofferenza individuale della malattia si aggiunge quella della distanza fisica, la domanda sul senso è più urgente che mai.

Ma non è una domanda ‘nuova’, ricordano Mantegazza e Manicardi. Già san Paolo parlava del gemito della natura, delle doglie della creazione. E cosa dire allora della strage dei bambini innocenti al tempo della nascita di Gesù, raccontata nel Vangelo di Matteo? Per arrivare alle grandi catastrofi della storia contemporanea, la Shoah su tutte.

Rinuncia all’onnipotenza: la relazione con l’uomo

Raffaele Mantegazza

“Auschwitz è la dimostrazione che Dio non esiste, oppure che la sua azione è incomprensibile all’uomo?”, si chiede Mantegazza citando il “Canto del popolo ebraico massacrato” di Yitzhak Katzenelson. La risposta può essere quella suggerita dal filosofo Hans Jonas, secondo cui “il concetto di Dio dopo Auschwitz” chiede all’uomo di rinunciare all’idea di onnipotenza di Dio. Il Dio degli Ebrei ha bisogno dell’uomo: “Io sarò colui che sarò”, dice a Mosè nell’Esodo, interrogato su quale sia il nome da riferire al faraone. Ossia: sarò ciò che tu mi aiuterai a essere.

Il mistero di chi sia Dio, per i cristiani, è avvicinabile attraverso la figura di Gesù nei Vangeli. Come sottolinea Manicardi, “E’ la pratica di Gesù, le sue azioni, che ci fanno intravvedere chi sia Dio. E i Vangeli raccontano di numerosissimi incontri con persone sofferenti nel corpo e nello spirito. L’analisi dei racconti di miracolo ci mostra come, di fronte alla sofferenza, Gesù non inviti mai alla rassegnazione – ‘a offrire la sofferenza a Dio’ come si direbbe oggi – ma, per superare la sofferenza cerchi sempre di entrare in rapporto con la persona in modo dialogico. La guarigione avviene attraverso una relazione”. E proprio la relazionalità è, secondo Manicardi, una categoria chiave per comprendere il Dio della Bibbia: “Lo Spirito, nell’Antico Testamento, altro non è che la libera volontà di Dio di entrare in relazione con il suo popolo. E’ intenzionalità, è la volontà di Dio di non stare fuori dall’esperienza umana. Per questo Dio non è indifferente al male ma, lui Giudice soffre di fronte all’ingiustizia”.

Dolore dell’uomo e compassione di Dio

Il dolore è l’esperienza più intima e unica che il singolo vive. È impossibile condividere il dolore, ricorda il prof. Mantegazza, impossibile persino misurarlo sebbene la medicina abbia provato a farlo. Il dolore è un’esperienza che chiude totalmente nella solitudine, di fronte al dolore l’altro deve compiere un atto di fede. Il dolore isola assolutamente l’individuo. “Ma proprio da questo nasce l’appello alla socialità, all’altro”, sottolinea Manicardi, ricordando come già i padri della Chiesa come Origene parlavano della ‘passione’ di Dio, della compassione che lega Dio al destino dell’uomo.

A questo proposito Mantegazza cita la Crocifissione di Grünewald per sottolineare come la rappresentazione più disturbante della sofferenza corporea di Cristo trovi un significato più completo nella sua collocazione: all’interno dell’ospizio d’Isenheim, che ospitava i malati sofferenti per il Fuoco di Sant’Antonio.

Distanziamento fisico e nuove relazionalità

L’idea di Dio come relazionalità non può che suscitare paragoni con la situazione di distanziamento fisico che viviamo oggi. Mantegazza e Manicardi esortano a guardare alle nuove forme di relazionalità, non fisica, che si stanno affermando. Su tutte, la nuova importanza degli occhi e dello sguardo. Dallo sguardo che, durante gli esami penetra nelle camerette degli studenti del professor Mantegazza – una situazione inedita di “intimità” con il loro mondo – allo “scambiatevi uno sguardo di pace” che nelle funzioni religiose sostituisce la stretta di mano.

Luciano Manicardi

“E se il proprio dell’occhio umano fosse il piangere più che il vedere?”, chiede a questo punto Manicardi citando il filosofo Jacques Derrida e riprendendo il tema della sofferenza. Le lacrime sono una delle esperienze più forti che viviamo, esprimono il mondo interiore e vengono agli occhi. “Non decidiamo noi di piangere, le esperienze più forti per l’uomo sono esperienze  di passività”, rimarca Mantegazza. “Dovremmo forse ricordarlo quando riflettiamo intorno all’ingegneria genetica e ai limiti della scienza”. In fondo Dio stesso ha rinunciato alla propria onnipotenza ha voluto dare a se stesso il ‘limite’ della creazione.

La sfida dell’ottimismo

“Come essere ottimisti di questi tempi?”, chiede infine Fabrizio Annaro.

“Non possiamo permettersi di essere pessimisti, abbiamo dei giovani da crescere”, ammonisce Mantegazza, raccontando l’aneddoto commovente della felicità dell’ultima versione di greco per un ragazzo poi morto di leucemia. “L’ottimismo si rafforza guardando i giovani, i ragazzi che continuano a fare scuola anche in piena pandemia, che non rinunciano al loro essere studenti”.

Don Augusto Panzeri. Dietro: Fabrizio Annaro (a sinistra) e don Enrico Tagliabue (a destra)

“Un momento buio come questo può essere un’occasione per prepararsi al dopo, al futuro”, risponde Manicardi. “Sviluppando immaginazione, creatività e coraggio. Il futuro nasce anche nell’interiorità. Chissà se l’uomo sarebbe arrivato sulla luna se per secoli non avesse sognato di andarci”.

La mattinata si chiude con la riflessione di don Augusto Panzeri della Caritas Monza sulla commozione personale originata dagli incontri in carcere: “Il pianto di Dio è un pianto di commozione e condivisione della sofferenza. Un pianto che dà un nuovo valore alle nostre lacrime. E alla fragilità che è dentro di noi”.   

Ecco il video integrale della conferenza. Oppure usa il link Giornata Mondiale del malato 2021 – YouTube

 

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