Giosuè Carducci: ‘poeta professore’…ma non solo

di Francesca Radaelli

“Qui Giosue Carducci, nei mesi di luglio e ottobre degli anni 1882-85, spesso libero da scocciatori, per sedare l’ardore dello spirito, per sciogliere l’amaro degli affanni, per temprare il vigore e la grazia; ilare e di buon umore attingeva dai vini vigore e grazia” .

È quanto si leggeva all’ingresso di una delle osterie frequentate nel corso della sua vita dall’illustre poeta, il primo italiano vincitore del premio Nobel, nato il 27 luglio 1835 a Valdicastello di Pietrasanta (in provincia di Lucca).

Poeta professore”, convintamente e polemicamente classicista in un’epoca dominata dall’emergere in Europa della cultura romantica, dopo un’infanzia da bambino prodigio e dopo aver frequentato niente meno che la Normale di Pisa, fondò con altri intellettuali del tempo la società degli “amici pedanti”, rivendicando la necessità di difendere la purezza della lingua di fronte all’invasione straniera del romanticismo europeo. Prima professore di liceo, poi titolare di un’importante cattedra all’Università di Bologna, scrisse le celebri Odi barbare, tentando di riprodurre nella lingua italiana i metri e i ritmi dell’antica poesia latina e greca: consapevole che il risultato sarebbe suonato decisamente stonato alle orecchie degli antichi, scelse di dare questo titolo alla sua raccolta.

Carducci, al centro, con gli 'amici pedanti' Gargani e Chiarini.
Carducci, al centro, con gli ‘amici pedanti’ Gargani e Chiarini.

Un noioso cattedratico, autore di testi freddi e antiquati, deciso a resuscitare a tutti i costi un classicismo ormai appartenente al passato? Spesso è questa l’immagine che ci facciamo dell’autore di Pianto antico e San Martino. Ma, in realtà, a guardar bene, la vita di Carducci è stata tutt’altro che piatta e noiosa. Figlio di un rivoluzionario costretto a migrare di paese in paese per le sue idee politiche, Giosué aveva in realtà un carattere passionale e sanguigno, si innamorò giovanissimo di Elvira Menicucci che sarebbe poi divenuta sua moglie e scrisse per lei versi infervorati, amò altrettanto intensamente gli autori classici e li studiò con passione autentica, ritrovando in essi il legame profondo che, sin da bambino, ricercava con la natura. Il suo percorso politico si riallaccia inizialmente alle idee del padre, a lungo perseguitato per il suo eccessivo radicalismo e liberalismo. Deluso dai primi governi unitari, che a suo modo di vedere tradivano le aspettative dei moti risorgimentali, il poeta, dichiaratamente e orgogliosamente ateo, professava un acceso anticlericalismo, che lo spinse al punto da entrare nella Massoneria e scrivere addirittura un Inno a Satana, il demonio, inteso come simbolo di quel progresso da cui la Chiesa era tanto spaventata. Ormai letterato affermato, concluderà la sua parabola politica in parlamento, divenendo senatore del regno e professando idee monarchiche. Un’adesione alla monarchia che, forse, dipendeva più dal fascino della regina Margherita, di cui era ammiratore, che da una convinzione politica vera e propria. Ma al di là dei suoi doveri da universitario e politico, Carducci sapeva anche godersi la vita nei suoi aspetti più concreti.

Il barbuto professore le cui poesie vengono studiate a memoria sin dalle scuole elementari, si faceva pagare in barili di Vernaccia le collaborazioni con la rivista La Cronaca bizantina e, amante del vino e del cibo, amava organizzare con gli amici le cosiddette ‘ribotte’, banchetti pantagruelici in cui si mangiava e si beveva dall’alba al tramonto e durante i quali, in uno spirito che forse voleva resuscitare i simposi greci e ii convivi romani, si recitavano versi e poesie e si discuteva di filosofia.

Insomma un ‘professore’ dalla vita tutt’altro che austera, tanto intransigente sullo stile letterario quanto amante degli eccessi…in altri contesti.

 

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