Intervista con Mazen Hussein, responsabile della sezione di Monza dei Giovani Musulmani d’Italia
Dopo i fatti di Parigi dello scorso 13 novembre, molto si è parlato di Islam. A una settimana di distanza, sabato 21 novembre, il mondo dei musulmani italiani è sceso in piazza a Roma, Milano e in tante città “per dire no al terrorismo, per dire no alle guerre, per dire no all’islamofobia degli sciacalli che per pochi voti vogliono alimentare paure, divisioni e discriminazioni”. Ma chi sono i giovani musulmani italiani? Lo abbiamo chiesto a Mazen Hussein, il responsabile della sezione di Monza dei Giovani Musulmani d’Italia. Studente di economia, 21 anni, Mazen è nato in Italia da genitori egiziani.
“Not in my name” è lo slogan con cui i musulmani di tutto il mondo hanno reagito agli attentati di Parigi. Che cosa pensate dei terroristi che hanno ucciso nel nome della vostra religione?
Sicuramente hanno colpito anche noi, soprattutto ci hanno infangato. È vero, come tanti di noi, anche questi terroristi sono musulmani europei di seconda generazione o addirittura di terza. Ma questo non vuol dire – è banale dirlo, e a volte dà fastidio sentirsi obbligati a doverlo ricordare – che tutti noi siamo come loro. Si dichiarano musulmani, ma non hanno nulla a che fare con l’Islam. È come dire che tutti gli italiani sono mafiosi. Devo dire che su questo tema ho visto una presa di posizione forte sui social anche da parte dei non musulmani, e mi ha fatto davvero molto piacere. Anche se è vero anche che negli ultimi tempi i razzisti hanno alzato i toni. Se prima si diceva ‘torna a casa tua’, ora il messaggio spesso è: ‘ti taglio la gola, ti voglio morto’.
I terroristi dicono di uccidere nel nome del Corano…
Ma non è il Corano che dice loro di uccidere. Nel Corano la vita è sacra, quella dell’uomo e anche quella degli animali. Gli esempi nel testo sacro sono tantissimi. Ne cito uno solo. Il Profeta racconta che una donna, una grandissima peccatrice, un giorno nel deserto diede da bere a un cane, salvandogli la vita. Per questa sua azione, dice il Profeta, lei andrà in Paradiso. Un’altra donna, invece, che mai aveva mancato alla preghiera, rinchiuse una gatta e la fece morire di fame e sete. Per questo motivo, è condannata all’Inferno. Per un musulmano la vita è la cosa più sacra.
Ci sono alcune parole arabe, legate all’Islam, che oggi a molti fanno paura. Proviamo a fare un po’ di chiarezza. Cosa significa ‘Allah Akbar’ per un musulmano? E ‘Inshallah’?
‘Inshallah’ significa semplicemente ‘se Dio vorrà’, lo diciamo dopo ogni espressione al tempo futuro. Ad esempio: “Domani ci vediamo Inshallah”. Invece ‘Allah Akbar’ significa ‘Dio è il più grande’. È un’espressione che il musulmano solitamente pronuncia non per farsi esplodere, ma quando inizia la preghiera, è una frase che dà valore al nome di Dio e segna l’inizio del rituale. La pronunciamo anche di fronte alle bellezze naturali, alle meraviglie del mondo. Diciamo ‘Allah Akbar’ per dire ‘questa è la grandezza di Dio’. Non lo diciamo certo di fronte alle bombe, quelli che lo fanno sono solo terroristi.
Chi sono i Giovani Musulmani di Monza?
L’associazione si chiama Giovani Musulmani d’Italia, è nata a livello nazionale nel 2001 a Milano.
All’inizio contavamo solo dieci tesserati, oggi in tutto siamo circa tremila, con oltre cinquanta sottosezioni in tutta Italia, tra cui la nostra di Monza con sessanta tesserati. L’obiettivo con cui ha preso il via l’associazione è far interagire i ragazzi musulmani nati qui in Italia con la società italiana, senza che questo implichi una rinuncia alla propria cultura e al proprio stile di vita.
In che senso?
Vogliamo far sì che il musulmano italiano possa uscire il sabato sera con gli amici senza sentirsi uno ‘sfigato’ perché non beve la classica birra. Insomma fare in modo che la pratica della nostra religione non sia da ostacolo all’integrazione.
Che cos’è l’integrazione per un giovane musulmano?
Integrazione per noi significa entrare nel tessuto sociale italiano, nella comunità, senza per questo rinunciare ai valori e ai principi religiosi che fanno parte della nostra identità. Per una ragazza, questo significa magari portare il velo nella vita quotidiana senza per questo essere guardata con sospetto o diffidenza. Per questo l’associazione vuole accompagnare i giovani in un percorso di crescita sia religioso sia personale. Una crescita che avviene proprio nel confronto con la società. Organizziamo eventi, stand in piazza, sit in. Tutte occasioni in cui si ha la possibilità di mettersi alla prova, di crescere anche dal punto di vista della maturazione personale. Interagire con il pubblico, confrontarsi con gli altri spesso è difficile. Ma, come si dice, ‘il disagio aguzza’.
I membri dell’associazione sono nati in Italia?
Sì sono quasi tutti di seconda generazione, e poi c’è anche qualche italiano che si è convertito all’Islam. In prevalenza siamo di origine araba, ma tra noi c’è anche qualcuno proveniente da Senegal, Indonesia, Albania. Di solito si associa il musulmano all’arabo, in realtà la situazione è più frastagliata.
Che cosa rappresenta l’Islam, nella vostra quotidianità?
Innanzitutto un modello di vita, un ‘binario’ che ci guida secondo vie ben precise, e in maniera positiva. Ad esempio so che non posso bere alcolici: è un precetto religioso, che entra a far parte del mio stile di vita. Non lo vivo come una rinuncia, è qualcosa di cui vado fiero. Devo pregare cinque volte al giorno, ma non lo vivo come qualcosa di noioso, ma come un’abitudine che diventa parte della mia giornata, in università e nell’ambiente in cui si svolge la mia vita. Sono dei precetti religiosi che fanno parte di noi, della nostra identità, della nostra essenza. Il Ramadan, che ci impone di non mangiare e bere durante il giorno, è spesso difficile da seguire, ma per noi come comunità costituisce un mese fantastico, in cui viviamo dei momenti bellissimi di condivisione e preghiera in famiglia e con gli amici. Una vera festa, insomma.
A volte però sono proprio queste pratiche a essere viste con maggiore diffidenza dai non musulmani…
In realtà non è proprio così. Ci sono, è vero, delle reazioni di sospetto e paura, ma tutto dipende da come si reagisce a queste situazioni, che spesso nascono da un disagio dell’interlocutore. È difficile ma a volte bisogna sforzarsi di fare un passo verso l’altro, è importante reagire nel modo giusto, anche per chi si sente sotto accusa in quanto straniero. E il modo giusto è parlare, per comprendersi, o almeno per dare inizio a un dialogo. D’altra parte nella vita quotidiana il popolo italiano è molto aperto, caloroso, curioso, molto di più rispetto ad altri popoli europei.
Gran parte dei giovani musulmani europei sono figli di emigrati. Che cosa pensi della situazione nei paesi arabi? E dei tanti migranti che stanno arrivando in Europa da Asia e Africa?
La situazione in paesi come Siria, Tunisia, Egitto è di grandissima confusione, questo è sotto gli occhi di tutti. Manca una presa di posizione comune, una strategia internazionale, si è fatto ben poco di concreto per risolvere il conflitto. Le persone che scappano fuggono esattamente da quello che è successo a Parigi. Guerre, bombe, incertezza per il futuro: è questo ciò da cui si scappa. Ora forse riusciamo a capirlo meglio. Perché quando le bombe scoppiano lontano da noi, magari in Europa ce ne accorgiamo a malapena, se però succede nelle nostre città anche noi iniziamo ad avere paura. Nessuno vorrebbe abbandonare il proprio paese, come sanno bene anche gli italiani che si trasferiscono all’estero in cerca di lavoro. Chi fugge lo fa per sopravvivere quando scappa dalla guerra. Per vivere quando abbandona un paese privo di prospettive.
Martedì sera inaugurerete all’Urban Center del Teatro Binario Sette di Monza ‘Il Gusto del Corano’, una mostra che sarà visitabile dal 24 novembre al 1° dicembre. Puoi anticiparci di che cosa si tratta?
L’obiettivo è parlare di Islam in un modo un po’ diverso, anche al di là della preghiera e della religione. Abbiamo deciso di parlare di cibo, che è una cosa che accomuna tutti, che può facilitare un avvicinamento, l’approccio al confronto. Perché, voglio sottolinearlo, la conoscenza è sempre il primo passo. Il primo versetto del Corano inizia proprio con questo imperativo: “Leggi!”. Non prega, digiuna o ricorda Allah. Ma leggi, ossia interessati alla conoscenza. Questo è un valore fondamentale per noi, un valore che vogliamo promuovere. Anche a livello scientifico, non solo religioso. Nella mostra spiegheremo anche alcune delle caratteristiche dell’alimentazione musulmana, perché per noi credenti anche l’alimentazione è un atto religioso. Ma un atto che dà gusto alla vita, da compiere in allegria. È questo lo spirito da cui nasce quest’iniziativa e l’immagine della nostra religione che ci piacerebbe comunicare. Per questo invitiamo tutti i monzesi martedì 24 novembre, alle 19.00, per l’inaugurazione della mostra.
Francesca Radaelli