di Daniela Annaro
Sì, è la Bellezza che ci guarda,non siamo noi a riconoscerla e a poterla osservare. Come tutto ciò che sfugge a ogni possibile considerazione o giudizio, il Bello ci provoca, difende il segreto della sua impenetrabilità. Giulio Paolini
Arte e ricerca del bello. E’ una costante nel lavoro di Giulio Paolini, un artista importante dell’area concettuale. Settantotto anni compiuti da poco, genovese di nascita, torinese d’elezione, alla Fondazione Carriero di Milano (via Cino del Duca,4 ingresso libero fino al 10 febbraio 2019) l’artista si racconta in una trentina di opere nella mostra dal titolo emblematico rispetto alla sua arte: “Giulio Paolini, del Bello ideale”.
La mostra si propone di offrire una visione dell’opera di Giulio Paolini – spiega il curatore Francesco Stocchi – da un punto di vista interiore, dove l’artista è invitato a cimentarsi in un esercizio introspettivo, di analisi e scoperta delle proprie fonti di ispirazione. L’intenzione non è quella di raccontare il suo percorso con attitudine nostalgica, ma sottolineare il suo desiderio di uscire dallo scorrere del tempo e collocarsi in una dimensione parallela di eterno presente.
E l’eterno presente lo troviamo sin dalla prima opera in rassegna: Cariatide, due colonne dai capitelli corinzi e una fotografia lacerata che li riproduce creando un nuovo spazio.
La mostra suggerisce lo spirito più profondo dell’artista: tutte le sue opere creano un continuum, è come se fosse un’unico lavoro, una costante trasformazione originata dalla sua prima opera Disegno geometrico del 1960,realizzata a vent’anni: una tela con squadrature che resta vuota e che dispone la superficie a chissà quali e quante immagini. Un punto di partenza e di arrivo per l’artista come per tutta la storia dell’arte. L’esposizione milanese, dato lo spazio suddiviso su tre livelli, individua tre grandi nuclei della poetica di Paolini: il ritratto e l’autoritratto (l’artista è assente), In superficie (linea, prospettiva, orizzonte, tautologia…), Uno di due (il mito e il classico).
Tre temi che si intrecciano tra loro, in un continuo rimando. Non a caso, la mostra si avvale anche della collaborazione della scenografa teatrale Margherita Palli che propone due installazione che combinano, mettono insieme i tre nuclei del pensiero dell’artista.
Nella visione di Paolini l’artista è estraneo al processo di creazione dell’opera d’arte, si limitata a rivelarla come se fosse un’archeologo che scava e ritrova le immagini del passato, tutto quello che la storia dell’arte ha consegnato. Una sorta di continua scoperta che si materializza nello studio del pittore-scultore. Sono immagini che possono liberarsi nello spazio fatto di linee, cerchi, quadrati e rettangoli o che possono aiutarci a comprendere con sguardo nuovo la classicità. In ogni caso, per Paolini, è l’opera che deve occupare il palcoscenico e non l’autore. Un imperativo categorico dal quale Giulio Paolini non può prescindere.