Negli anni immediatamente successivi alla fine del primo conflitto mondiale, il piccolo Giuseppe vive in una casa colonica nelle campagne che circondano Bologna dove il padre, Dante, cura le sue terre e si dedica al lavoro cercando di tenersi lontano dagli scontri fra i contadini e le bande di camicie nere al soldo degli agrari, preoccupandosi esclusivamente della quantità del raccolto e della sua famiglia. Ha quattro figli, due femmine e un maschio maggiore di Giuseppe che è tornato traumatizzato dalla guerra, ma a preoccuparlo di più è proprio Giuseppe, che parla pochissimo ed è sempre distratto, immerso nei suoi pensieri, e sembra vivere in una dimensione parallela che lo distoglie dalla realtà. Tuttavia, il bambino ha un’intesa particolare con la madre, Lina, che gli racconta favole e storie della tradizione orale contadina che stimolano la sua fantasia. Molto capace a scuola, vorrebbe proseguire gli studi per diventare maestro, ma il padre glielo impedisce perché la terra ha bisogno di braccia e per un contadino è sufficiente saper scrivere e far di conto. Giuseppe, che è molto disciplinato, non teme la fatica e ha paura del padre, obbedisce e trascorre la sua adolescenza lavorando la terra, che impara a conoscere e amare.
In quegli anni si innamora di Maria, figlia di un colono vicino, e, compiuti i diciassette anni, trova il coraggio di comunicare al padre il suo desiderio di sposarla. Ma Dante, infuriato, gli risponde che è ancora troppo giovane e che non potrà sposarsi fino a quando non sarà in grado di sostenere economicamente una propria famiglia. E così Giuseppe non solo non sposa Maria, ma dopo pochissimo tempo parte come militare per raggiungere l’Eritrea; qui resta per un certo periodo a Massaua e sebbene sia considerato un buon soldato dai superiori, obbediente e taciturno, non si sente a proprio agio in quel contesto; maneggiare il fucile, ad esempio, anche solo per manutenerlo, gli provoca ansia e malessere, così cerca di aggrapparsi ai ricordi della sua vita precedente per trovare una temporanea ed effimera serenità. Ma ben presto si troverà a marciare con le truppe che vanno in guerra e, di fronte alla violenza degli scontri, neanche i ricordi più belli potranno salvarlo dal dolore.
Massimo Vaggi, avvocato bolognese autore di numerosi romanzi e cofondatore di Nuova Rivista Letteraria, racconta il disorientamento di un uomo che, pur non avendo mai condiviso le logiche della mentalità contadina, si trova paradossalmente a rimpiangerne i valori quando ne viene strappato via per affrontare dapprima le ingiustizie di una occupazione territoriale che gli appare priva di senso e poi gli orrori della guerra. In un mondo in continuo cambiamento, Giuseppe si smarrisce e non riesce neanche più a rimanere aggrappato al debole filo dei ricordi, iniziando a vivere in un universo tutto chiuso nella sua testa e rifiutando di adeguarsi alla realtà.
Un romanzo intenso, che ritrae una civiltà che si avvia a scomparire, arricchito dal contrasto fra la durezza degli eventi narrati e l’uso, da parte dell’autore, di una prosa asciutta dai toni fortemente poetici.