di Francesca Radaelli
Uno spettacolo che illumina uno dei grandi drammi del nostro tempo. Che getta luce su storie tremende di profughi e migranti, e che toglie la maschera a ogni ipocrisia. Tra teatro di narrazione e di denuncia. Senza troppa retorica.
La parola Human con una riga nera sopra, è il titolo della pièce, nata dalla collaborazione tra Lella Costa e Marco Baliani, in scena al Teatro Manzoni di Monza questo weekend. Umanità attraversata da una netta linea nera, umanità negata. Il testo è scritto da Lella Costa e Marco Baliani, la regia è di quest’ultimo, mentre tra gli attori ci sono anche i bravi David Marzi, Noemi Medas, Elisa Pistis, Luigi Pusceddu. Costumi e scene sono di Antonio Marras, le musiche di Paolo Fresu con Gianluca Petrella.
Lo spettacolo è fatto di tanti quadri giustapposti, che prendono vita uno dopo l’altro sul palcoscenico, illuminati di volta in volta, stagliandosi su un fondale scenografico che è una composizione di abiti incastrati fra loro. Vestiti vuoti che alludono a storie di migrazioni e naufragi in mare. Tra i protagonisti di questi tableaux vivants, evocato più volte dai personaggi che si susseguono sul palco, c’è proprio il mare.
Il mare che si frappone tra i due amanti mitologici Ero e Leandro, lo stretto braccio di mare (l’Ellesponto, ossia l’attuale stretto dei Dardanelli) che quest’ultimo attraversa tutte le notti, per raggiungere l’amata. Ma anche il mare tra Africa e Italia, oggi attraversato da quei barconi che vediamo affondare in tv, magari mentre prepariamo la cena. Proprio come i quattro ragazzi che a un certo punto, sul palco, sentiamo fare discorsi molto simili a quelli che noi stessi ci troviamo a pronunciare davanti alla tv. Quel mare che rappresenta l’ultimo ostacolo di fughe lunghissime che percorrono interi deserti e che rendono secchi i corpi e i cuori dei padri e delle madri. Quel mare da cui affiorano non solo corpi morti, ma anche vestiti, scarpe, orsacchiotti appartenuti a qualche vita sconosciuta e ora spezzata.
Che cosa possiamo fare noi di fronte a tutto questo? E’ la grande domanda formulata a un certo punto, in un intenso dialogo tra i due attori Lella Costa e Marco Baliani, che sembrano per una volta sospendere la recitazione. Dobbiamo e possiamo continuare a preparare la cena ogni sera, liquidando con commenti dispiaciuti ma distanti le immagini dei telegiornali? Oppure continuare ad asserire, come l’irresistibilmente comica siora veneta impersonata dalla stessa Lella Costa, che ci dispiace, ma non c’è proprio posto? Perchè in fondo è vero, abbiamo già abbastanza problemi, e spacciatori, italiani, senza che arrivino anche quelli là, quelli che ormai non si possono nemmeno più chiamare ‘negri’.
D’altra parte, le domande con cui lo spettacolo ci lascia sono tantissime. Di fronte alle barche che affondano è meglio riuscire a scattare la foto ‘giusta’, in grado di illuminare il dramma dei profughi e smuovere le coscienze di tutto il mondo? Oppure sporcarsi le mani cercando ogni volta di salvare ogni singolo essere umano? È meglio soccorrere chi urla aiuto in mezzo alle onde o portare a riva il pesce pescato durante il giorno, per dar da mangiare ai propri figli?
Human ha il grande merito di non essere costruito a tesi, ma piuttosto di gettare luce sulle mille sfaccettature e le mille storie che compongono il grande movimento di chi lascia la propria terra in cerca di speranza, o di fortuna. Oggi dalla Siria e dall’Africa verso l’Europa e l’Italia. Un secolo fa dalle Langhe piemontesi verso l’America. Ma lo stesso viaggio si trova anche nella dimensione del mito greco di Enea, “l’eroe che, primo, dalle coste di Troia venne all’Italia, profugo per suo destino”, e che, raccontano gli autori, è stato la prima ispirazione per lo spettacolo.
Tra le tante domande che restano, a sipario calato, una si impone su tutte. Che cos’è quella sbarra nera che trafigge la parola Human? Che cos’è che ci toglie la nostra umanità? Essere uno dei tanti corpi ammassati senza alcun rispetto su un barcone alla deriva, boccheggianti per la sete in mezzo a tanta acqua? Morire in mare durante uno dei cosiddetti ‘viaggi della speranza’?
Oppure trovarsi dall’altra parte del mare e guardare ogni sera, in tv, quelle terribili immagini di morte? Magari scoprendo che, ormai, abbiamo finito per abituarci …
HUMAN è in scena al Teatro Manzoni di Monza nelle seguenti date: giovedì 15 ore 21, venerdì 16 ore 21, sabato 17 ore 21, domenica 18 ore 16.