“I migranti, i deportati e quei conti con la Storia che ancora dobbiamo fare”

venegoni darioIntervista con Dario Venegoni, vicepresidente dell’Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti

I suoi genitori si conobbero durante il viaggio verso il lager di Bolzano, uno dei campi ‘di transito’, in cui i prigionieri italiani venivano raccolti, per essere poi smistati verso i campi di concentramento nazisti sparsi per l’Europa. Vi furono rinchiusi, insieme a molti altri, perché oppositori politici, antifascisti militanti. Oggi Dario Venegoni, giornalista milanese, è vicepresidente dell’Aned, l’Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, impegnata a far conoscere ai giovani la terribile storia delle deportazioni e a promuovere gli ideali di libertà, giustizia e pace. Ideali che è sempre più difficile realizzare, in un mondo attraversato da spostamenti di popolazione di dimensioni impressionanti. Sulla questione dell’accoglienza ai migranti Dario Venegoni si mostra preoccupato. Perché se i luoghi della memoria possono – e devono – diventare luoghi di solidarietà, il nostro è un Paese che ancora fatica a fare i conti con il proprio passato.

Deportati di ieri e migranti di oggi, è possibile arrischiare un paragone?

Racconto un episodio accaduto non molto tempo fa. Dopo l’ennesima strage nel Mediterraneo, ci siamo trovati in sezione per una delle riunioni dell’associazione. In quei giorni sui quotidiani qualcuno paragonava i migranti stipati nelle ’carrette del mare’ a coloro che nel corso dell’ultima guerra furono costretti a salire sui terribili convogli diretti verso i campi di concentramento. Personalmente trovavo improprio il paragone: da una parte c’è la volontà di intraprendere un viaggio ‘della speranza’, dall’altra persone sradicate a forza dalle loro case. E invece quel giorno sono stati proprio i tre superstiti dei campi presenti in riunione a tirare fuori spontaneamente questa analogia. Nelle donne e negli uomini ammassati come bestie sui barconi hanno riconosciuto se stessi nei momenti terribili del viaggio su quei treni tremendi. Un viaggio che per molti di loro ha rappresentato il momento in cui, per la prima volta, si sono visti privare della propria dignità di uomini.

Di recente  è rimbalzata su diversi media la notizia (poi rivelatasi una ‘bufala’) secondo cui una ventina di profughi sarebbero stati fatti alloggiare nel campo di concentramento di Buchenwald. A Milano invece il Memoriale della Shoah del Binario 21 quest’estate ha deciso di aprire le porte all’accoglienza dei tanti migranti giunti in stazione centrale. Qual è, oggi, il giusto valore da attribuire ai luoghi della memoria?

Trovo che la vicenda di Buchenwald sia stata piuttosto grottesca, soprattutto un pessimo esempio di informazione. Ho accolto invece con commozione la decisione della fondazione Memoriale della Shoah di mettere a disposizione 30 posti all’interno del museo Binario 21 per i migranti in transito verso il nord Europa. Non si tratta affatto di una profanazione, al contraro quel luogo di memoria ha trovato un senso ancora più profondo divenendo anche un luogo di solidarietà. E per i migranti vivere, anche solo per una notte, un luogo come questo può voler dire molto.

In che senso?

Gran parte dei profughi di passaggio per la stazione centrale provengono da paesi lontani, spesso sono di religione musulmana e, all’interno del Memoriale, vengono accolti e ospitati in una struttura gestita in gran parte da organizzazioni ebraiche. Molti di loro non conoscono nel dettaglio il dramma che l’Europa ha vissuto negli anni del nazismo e si trovano a passare la notte in un luogo nato proprio per ricordare le vicende terribili dei treni della morte che partivano da Milano. Insomma, toccano con mano la storia e la memoria del continente in cui hanno deciso di trasferirsi. Un’esperienza che può rappresentare un primo passo verso la conoscenza reciproca e l’integrazione.

Di fronte ai migranti, però, non tutti nel nostro Paese si mostrano accoglienti. Spesso prevale la paura, ci si sente minacciati…

Non solo, il rischio è che a prendere piede siano razzismo e violenza. E purtroppo, in Italia, il pericolo c’è. Eccome. A differenza della Germania, siamo un Paese che non ha mai voluto fare i conti fino in fondo con il proprio passato. C’è ancora chi identifica il Fascismo con i treni che arrivano in orario, la disciplina e il rispetto della legge. C’è un’ignoranza diffusa su ciò che è stato davvero questo periodo della nostra storia. Non sanno della dittatura, della negazione delle libertà, dell’asservimento al regime della scuola e del sistema informativo. I miei genitori sono stati deportati nel 1944 perché oppositori politici, ma mio padre è stato mandato in galera per molti altri a partire dal 1927, ben prima delle leggi razziali del 1938. Il pericolo riguarda, soprattutto, le nuove generazioni.

Francesca Radaelli

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