di Marco Riboldi
Nell’ambito della riflessione su ciò che anima o che dovrebbe animare l’azione politica e sociale, i principi di sussidiarietà e solidarietà hanno un’importanza decisiva.
Stiamo parlando di due concetti fondamentali, che dovrebbero essere sottesi ad ogni decisione politica: cercheremo di tratteggiare brevemente il loro profilo.
Il principio di sussidiarietà
Questo principio ha una lunga storia, che affonda le sue radici addirittura nel pensiero di Aristotele e di San Tommaso. Soprattutto quest’ultimo autore è spesso citato, perchè il principio di sussidiarietà ha un ruolo fondamentale nella dottrina sociale della chiesa (DSC).
Nell’ambito della elaborazione di tale DSC, le encicliche sociali, dalla “Rerum Novarum” (1891) in poi, sottolineano tutte questo principio.
Sostanzialmente, esso sancisce, in nome della priorità della persona sugli organismi collettivi, l’idea che: “una società di ordine superiore non deve interferire nella vita interna di una società di ordine inferiore(…) ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali, in vista del bene comune” (Lettera enciclica “Centesimus annus”,48).
Tale principio è generato e si collega alla concezione personalista.
Se, come ritiene da sempre il pensiero cristiano, la persona è insieme il centro originario e il fine ultimo di ogni azione, e se elemento imprescindibile della persona è il suo relazionarsi agli altri in un mutuo riconoscimento di valore, l’azione pubblica non può essere sopra e, men che meno, contro la persona e la sua libertà.
Il vivere comunitario degli uomini, il loro essere “animali politici” secondo la celebre definizione di Aristotele, non è semplicemente un dato storico o sociologico, né solamente un bisogno materiale di stare insieme per difendersi dalle difficoltà: la comunità umana risponde ad una esigenza di fondo della persona, che non è completa se non sviluppa relazioni.
Dalla famiglia, alle organizzazioni sociali più disparate fino allo stato, le persone sono insieme in una logica di reciprocità.
Questo “stare insieme” è in vista del bene di ciascuno e del bene comune.
Se un gruppo di persone legate da un bisogno e da una esperienza progettano e attuano un esperimento di socialità che punta a risolvere una questione avvertita come esigenza, la comunità si trova a gestire un pezzo della propria vita associata in modo autonomo e libero, spesso con una efficienza superiore a quella che verrebbe garantita da entità di livello più ampio.
Questo significa anche che il principio di sussidiarietà è strettamente legato ad un altro principio, che nella dottrina sociale corre parallelo ad esso: il principio di solidarietà.
Tale principio, presente in modo esplicito in tutte le encicliche sociali e particolarmente sottolineato ed ampliato dopo il Concilio Vaticano II, vincola il cristiano (e sollecita tutti gli uomini di buona volontà) a un impegno di “carità sociale”, operosa e attenta, nei confronti del prossimo, rivolgendosi sia ai singoli, sia alle comunità e agli stati.
“Abbiamo obblighi verso tutti” si legge nella “Populorum Progressio” di Paolo VI.
Non si tratta solo di una buona inclinazione verso il prossimo, ma di un essere responsabili nei confronti dell’intera umanità e del mondo, perchè consapevoli di un’unica appartenenza alla famiglia umana.
In linguaggio giuridico si parla di responsabilità “in solidum”, da cui appunto solidarietà.
Facile comprendere come la riflessione sul punto potrebbe portarci ad approfondire molte questioni attuali: ma non è questo l’argomento del presente scritto. Torniamo quindi alla sussidiarietà.
Occorre ancora sottolineare la importanza che ci sia un riconoscimento delle aggregazioni spontanee delle persone. Nel corso della storia abbiamo conosciuto modalità che sono state valorizzate adeguatamente. Basti pensare al movimento cooperativo e a quello sindacale, autentici corpi intermedi della società civile che hanno saputo ritagliarsi gli spazi che servono alla loro azione ( qualche volta anche con degenerazioni che hanno finito per trasformare tali corpi intermedi in qualcosa di molto diverso dalla fisionomia originaria).
Ma rimane il fatto che quando la politica tenta di operare ignorando o aggirando tali corpi intermedi, si costruisce un potere che non risponde adeguatamente alla società civile e finisce per sovrapporsi o in modo violento e antidemocratico (inevitabilmente per un tempo limitato) o in modo del tutto inefficace (anche in questo caso esponendosi al rigetto da parte dei cittadini).
E’ quanto abbiamo spesso sperimentato nel corso degli ultimi cent’anni, con sistemi e personaggi politici che tentavano di calpestare la società civile e che alla fine hanno tutti dovuto arrendersi alla sconfitta: non si costruisce uno stato senza la società civile.Quali sono dunque i termini della sussidiarietà?
La distinzione tradizionale che si suole operare è quella tra sussidiarietà verticale e sussidiarietà orizzontale.
La prima consiste nella più letterale interpretazione delle definizioni date all’inizio: significa che lo stato o comunque gli enti superiori non devono svolgere funzioni che possono essere svolte dagli enti inferiori.
Senza entrare in esempi più complessi, basta pensare al federalismo, che prevede che non intervenga lo stato dove possono fare le regioni o i comuni o, uscendo dall’Italia, che non intervenga il potere federale dove possono gli stati (si pensi alla legislazione degli Stati Uniti o a quella della Confederazione Elvetica).
Si potrebbero fare mille distinguo e molti approfondimenti, ma l’idea è quella di una autonomia degli enti decentrati rispetto a quello centrale.
Due annotazioni.
Naturalmente si pone il problema di capire se il “saper fare” degli enti decentrati sia da intendersi solo come efficienza operativa oppure se non serva anche una valutazione diversa.
Penso per esempio al fatto che il federalismo deve comunque poi fare i conti con le differenze tra le varie aree di un paese, con la necessità di conservare una solidarietà nazionale, che non può solo premiare chi sta più avanti e dimenticare le altre zone.
Si sa che il tema è, in Italia, piuttosto sentito e delicato: il Nord del paese ha capacità e risorse che gli permetterebbero una autonomia operativa anora più ampia di quelle che la nostra Costiuìtuzione prevede, ma ciò comporterebbe una differente distribuzione delle risorse (essenzialmente derivanti dal fisco) che renderebbe ancor più complicata la situazione del Sud ( o almento di parte di esso).
Seconda annotazione.
Non tutto ovviamente può essere lasciato al decentramento: esiste una serie di questioni che richiede necessariamente il coordinamento al livello più alto, o per la loro particolare natura ( si pensi alla politica estera o di difesa) o per l’importanza decisiva dei valori in campo, che richiedono una assoluta omogeneità ( si pensi alle leggi relative ai diritti fondamentali).
Su questi punti in Italia si è molto discusso, in più occasioni, sia per questioni di contingenza politica ( il significativo successo che in più tornate elettorali il movimento della Lega ha riportato puntando su questi temi), sia per una più generale presa di coscienza della opportunità di modificare in tal senso la nostra struttura costituzionale.
Meno frequente la riflessione sulla sussidiarietà orizzontale.
Tale pressione indica la ricchezza ed il valore della collaborazione spontanea tra cittadini che progettano una attività utile alla collettività nel suo insieme e chiedono agli enti di riferimento il consenso alla sua attuazione e la necessaria partecipazione, e del caso anche finanziaria.
Siamo sempre nell’alveo della riflessione precedente, ma cambia l’orizzonte.
Il confronto non è tanto tra istituzioni, quanto tra la comunità dei cittadini e l’istituzione, che potrebbe/dovrebbe lasciare mano libera ai medesimi per risolvere in modo autonomo una questione di interesse comune.
Naturamente anche in questo caso si pongono le stesse questioni poste nelle due annotazioni precedenti.
Ma qui entra in gioco anche la libertà delle persone che vogliono proporre un proprio progetto e chiedono che lo stato non si imponga, ma sostenga tale libertà.
Non vale l’obiezione “se lo fa già lo stato perchè farlo fare ai privati cittadini?”, perchè lo stato è esattamente composto dai cittadini, non è altro da loro, anche se ne è distinto.
Ma la sussidiarietà orizzontale prevede che le aggregazioni di cittadini siano libere di agire: e questo spesso fa nascere timori.
Poichè talvolta tali aggregazioni sono su base di una condivisione di valori ed idee, si teme che favorire (soprattutto finanziandole) le iniziative contribuisca a creare una sorta di contro stato su base ideologica. Esemplare in tal senso la profonda diffidenza nei confronti della scuola non statale, che si preferisce non finanziare per evitare che si rafforzi troppo nei confronti di quella statale. Sarebbe interessante forse ipotizzare una forma di intervento statale che, finanziando solo parzialmente la scuola non statale, recuperi fondi da spendere in quella statale.
Banalmente: uno studente di scuola non statale costa circa la metà di uno di scuola statale; quindi se un certo numero di studenti fosse incoraggiato con un aiuto finanziario a frequentare la scuola non statale, lo stato risparmierebbe non poco e tale risparmio potrebbe andare alla scuola statale.
E’ quel che capita con l’unica scuola non statale ben finanziata, che è quella dell’infanzia, aiutando la quale i comuni risparmiano risorse preziose.
L’esempio dovrebbe essere approfondito, esaminando altri vantaggi e svantaggi, ma serve solo ad indicare come esista una certa difficoltà a riflettere in termini ampi e non meramente tecnici (o ideologici) sul principio di sussidiarietà.
Ci sarebbe ancora moltissimo da dire (si pensi al tema della sanità e della assistenza), ma basti per ora aver lanciato qualche idea. Se la cosa può suscitare interesse, potremo riprendere il discorso anche su queste pagine.