di Francesco Troiano
Il carnevale, nella mia famiglia, è sempre stato un avvenimento.
Ogni tanto mi riguardo le foto di me bambino vestito da Zorro con la spada di plastica e il cappello che mi copriva gli occhi perché più grande della mia testa.
A vent’anni, andai a una festa vestito da sceicco. Sul davanti avevo appeso un cartello: “PETROLIO DOC” e una fiaschetta sulle spalle a cui avevo collegato una cannuccia. Il vestito era magnifico. Me l’aveva confezionato mia madre sarta, che secondo me, invece di fare i vestiti per signore ricche con mille pretese, avrebbe dovuto lavorare in una sartoria teatrale.
Una volta creò un vestito metà messicano e metà cow-boy. Con gli amici di allora avevamo formato un corteo pimpante con me in testa chitarrista che cantavo sambe improbabili. In Galleria, con altri chitarristi e i tamburi dei ragazzi neri provenienti dal parco Sempione, improvvisammo una festa-concerto con i passanti che si unirono ballando e cantando a perdifiato.
Nonostante l’età matura, nel carnevale di qualche anno fa, mi avvolsi dentro un mantello nero con una maschera da alieno. Mia moglie Teresa, aveva un mantello azzurro e una bellissima maschera di Torriani (il negozio milanese delle maschere con una tradizione centenaria). Gettavamo coriandoli e stelle filanti al mondo circostante e, ogni tanto, mi avvicinavo a qualcuno parlandogli in un linguaggio extraterrestre. C’era chi mi fissava incredulo, una signora scappò con il terrore negli occhi. Insieme a un signore vestito da paggio medioevale, abbiamo scattato le foto e, con mille risate, ci siamo salutati abbracciandoci come due vecchi amici.
A ricordarmi quell’abbraccio, oggi, sembra sia passata un’eternità.