I racconti del melograno: Francesca

di Francesco Troiano

Aprile 2019 ore 8:00
Stamane in metro, pieno come un uovo, sono stretto ad acciuga.

Sale una ragazza bionda che si ferma in prossimità  del palo di sostegno di fronte alle porte di uscita. Con un gesto fulmineo, apre la sua borsa enorme ed estrae il tablet. Inizia a digitare freneticamente.

Nel frattempo, la folla scesa, dà il cambio con altra folla ancora più pressante e confusionaria.

Suona un telefono, la ragazza risponde. Il volume dell’apparecchio è talmente alto da indovinare la parlata dell’interlocutore che dice “Ciao Francesca”.

Alla fermata di Turati da quella borsa, che assomiglia a uno di quei negozi che ti vendono l’universo, spunta un tubetto di crema. Francesca infila il tablet sotto l’ascella e, nell’ondeggiamento generale, si spalma le guanciotte come fosse nel bagno di casa sua. La borsa non è solo aperta, è spalancata. Il campionario, visibile dagli otto o dieci passeggeri attorno a lei, è impressionante: pettine, trousse, specchietto, fazzoletti sparsi, tre o quattro portafogli, pinzette, spazzola, agenda, libro, telefono, porta oggetti, tablet, boccetta di profumo, tessera del tram…

Qualcosa di cattivo mi suggerisce di farle una domanda: “scusi, ce l’avrebbe un ferro da stiro?”

A Duomo,  sale una famigliola rom. “Ci volevano pure questi” esclama Francesca. E  richiude la borsa/negozio con gli occhi fissi sulla famigliola che, quatta quatta, si apparta nel corridoio fra i vagoni.

A Crocetta, il vagone si svuota.
Francesca si prepara per la fermata successiva. Mi accorgo che da sotto la borsa penzolano gli auricolari che diffondono una musica che riconoscerei a chilometri di distanza.

Sto per avvisarla, ma si aprono le porte e lei scappa con il filo che le sventola dietro la schiena come una buffa coda biforcuta che canta: 
“..Non è Francesca…”

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