di Francesco Troiano
Mi piace, di primo mattino del sabato, attraversare il mercato che si sta organizzando.
I banchi ancora vuoti, i venditori che scaricano la merce dai camioncini, i marocchini che svuotano i sacchettoni azzurri pieni di calze, magliette, mutande, scampoli e, sopra la montagnola, il cartello scritto a biro: “5 euro”
L’afrore della pescheria t’invade pungente come un pesce spada. I branzini e le orate ti guardano allibiti e rinfrescati dalla coltre di ghiaccio appena sparso dal secchiello del ragazzo indiano.
La bancarella degli animali sembra uno di quei libri per l’infanzia che apri e spunta il cartonato della fiaba: una danza colorata di gabbie, guinzagli, scatole del mangime, sacchetti della lettiera, piccoli acquari con improbabili pesci tropicali, vaschette di tartarughine fuorilegge e, addirittura, un’iguana dall’espressione perplessa.
Il verduriere napoletano è già caricato a pallettoni e urla nelle orecchie della signora che sta rallentando per guardare la mercanzia esposta:
“Friarielli signò…belli comm’a vuie!”
A diciassette anni andavo da Nino al mercato di via Osoppo a dargli una mano. Aveva il banco delle olive. Ricordo ancora adesso il profumo e che mi piaceva da morire parlare con i clienti.
Ancora oggi, quando mi capita di passare davanti al banco di un olivaro, non posso fare a meno di comprare qualcosa.