di Francesco Troiano – illustrazione di Filippo Carletti
L’appuntamento al patronato è alle quindici e trenta. Sono quasi due ore che aspettiamo.
Nel frattempo passano dei tipi che bussano alla porta ed entrano. Insieme ad altri due in attesa, perdiamo la pazienza. Una delle signore addette al ricevimento del pubblico, seraficamente ci informa che queste persone avevano un appuntamento di giorni fa non andato a buon fine e, con il sorriso di “Heidi che le sorridono i monti” senza aggiungere altro, lentamente richiude la porta.
Sulla vetrata divisoria, appiccicati con lo scotch ci sono avvisi di varia natura, una copia ingiallita della Gazzetta Ufficiale, volantini della pubblicità, avvisi del sindacato.
Intravedo il riflesso di te madre, sfinge immobile. Ti guardo il viso di profilo coperto dalla mascherina: un orecchino a conchiglia, la coda dell’occhio che vibra per l’ansia, lo sguardo di “chi se ne importa di questo posto, della signora Heidi, della domanda per i servizi domiciliari e di tutto il resto”. Nel riflesso chiaro del vetro rivedo le tue mani che mi toccavano la fronte quando avevo la febbre, del tuo starmi affianco mentre dormivo, risento il rumore del respiro. Nel riflesso scuro le tue sberle per i quattro a scuola, per la mia indolenza e le mie risposte.
Comunque grazie madre, grazie padre, anche solo per avermi messo al mondo. Forse, non il mondo che desideravate per me, ma alla vostra maniera, avete cercato di renderlo migliore.
Si riaffaccia la signora Heidi:
“Vi prego di avere pazienza, i computer sono lentissimi.”
Non come il tempo.