I racconti del melograno: la novanta-novantuno

di Francesco Troiano

La 90-91 è la filovia milanese che percorre il giro della circonvallazione ventiquattro ore su ventiquattro.
Seduta di fronte a me una giovane, con una bellissima acconciatura di trecce e perline intersecate. Il suo colore ambrato è quello delle statue creole di legno lucido esposte sui banchi etnici di Corso Buenos Aires.

Mi chiede se c’è ancora molto per la fermata di via Farini. Le rispondo che devo scendere anch’io.
“Ogni volta faccio errore. Ce abita my brother Joseph”. I suoi occhi sono lucidi.

“Unico rimasto mia famiglia…”
“Di dove sei?'”
“Ruanda. Con armi che tagliano e guns…

“Pistole…”

“Si, pistole.. Arrivati come diavoli, pitturati rosso e viola, e segni in faccia.

Me hanno ammazzato tutti…papa e mamy…miei brothers…io obbligata stare con loro, sennò me ammazzavano. Quattro schifosi. Ho urlato. Nessuno me sentiva. Vedevo morire tutti…pecore piccole, con corna e barba… “.

“Le capre..i capretti immolati…”

“Capretti…sì…come loro…”
Fermata di Farini.

Mi fa “ciao” con la mano sussurrando “Thank you”.

Vedo il suo scialle a fiori arancioni, le unghie viola dei piedi, la collinetta colorata di trecce e perline, il braccio alzato per un altro “ciao”, e tutto questo, scomparire nello “sbam” del portone grigio di una casa anni quaranta.

Undici di sera, mese di ottobre.

Il termometro della farmacia fa ventidue gradi. Le finestre della casa anni quaranta sono accese e le precoci lucine di Natale lampeggiano attorno a un balcone solitario al secondo piano.
Un signore con un barboncino è fermo incantato davanti a un’insegna pubblicitaria. Nella foto c’è una modella bianchissima come il latte, e sotto, una domanda:

“Cosa ti manca?”

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