I racconti del melograno: l’onda

di Francesco Troiano

Mio fratello taxista di notte è imbestialito nero. Le discoteche sono chiuse, i locali sono chiusi, alla Malpensa i voli sono vuoti, in Centrale i treni sono deserti.

In questi giorni la città, ha strade del quindici di agosto; non so quando può essere successo in una Milano di febbraio che spirasse un’aria leggera di montagna. Le saracinesche di numerosi negozi sono abbassate, i supermercati sono delle lande desolate. Gli umani che s’incontrano per strada hanno la qualità frastornata dei fantasmi d’estate.

Ci sono messaggi nascosti in tutto questo?
La coincidenza con l’inizio della Quaresima è un caso? O esiste una sottotraccia da decifrare?

Ho appena inaugurato un nuovo personale tratto della mia esistenza, e stamattina, ancora a letto, ascoltavo con orecchie nuove i merli nel cortile. Certi amori stanno preparandosi per la primavera.

Nell’angolo accanto all’armadio, c’è la mia chitarra classica dentro la custodia. Osservavo la sagoma nera visualizzando i suoi fianchi di donna, il suo legno lucido, le corde da cambiare e il suono intimo condiviso con “un intorno di realtà”, anche magari con un pubblico, sempre intimo, sempre fra me e me. Quante volte la chitarra mi ha salvato la vita? Due, forse tre volte nella vita. Stamattina, sonnecchiava con me.

Quel silenzio delle sei del mattino contrappuntato dai cinguettii, produceva un’onda di pace che entrava anche da una finestra chiusa.

Settimana scorsa ero fermo sul ciglio di una strada di campagna e nel campo brucava una popolazione di pecore capre e asini. E si sentiva quell’onda.

Guardavo quella meraviglia e pensavo: di quel che mi resta di vivere, questo è il mondo che vorrei.

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