di Alfredo Somoza
Annus horribilis è un’espressione latina usata per designare gli anni in cui si sono verificati più eventi negativi in diversi ambiti. Il 2020 sarà ricordato soprattutto per la pandemia di Covid-19 e la crisi economica e occupazionale che ha innescato a livello globale. Ma i problemi non sono stati solo questi.
Nell’anno che sta finendo si sono aggravati molti punti già critici dell’agenda globale. Anzitutto il clima. Nel 2020 si è raggiunta una temperatura media globale di 1,2 °C più alta rispetto all’era pre-industriale: significa che è stato il terzo anno più caldo da quando esiste il registro del clima, addirittura il primo se ci concentriamo solo sull’Europa. Questo dato indica chiaramente come il processo di riscaldamento dovuto alle emissioni di CO2 si aggravi anno dopo anno. Una realtà che non si discute più, i negazionisti del cambiamento climatico sono ridotti a uno sparuto drappello. Eppure si continua a ignorarla, rimandando le soluzioni, come se ci fosse ancora tempo.
Il 2020 ha visto anche il ritorno delle guerre commerciali, iniziate da Stati Uniti e Cina ma che rischiano di estendersi anche all’Europa, con l’uscita quasi senza accordo del Regno Unito dall’Unione Europea. Protezionismo, aiuti di Stato, dumping, dazi sulle merci sono pratiche e situazioni alle quale dovremo abituarci di nuovo, come un ritorno a un passato per la verità neanche troppo lontano.
L’anno che se ne va dovrebbe essere ricordato anche per il gran numero di violazioni del diritto internazionale verificatesi. Per il ritorno quasi al punto di partenza nel conflitto israelo-palestinese e per l’espansione militare e strategica di potenze guidate da autocrati, come la Russia e la Turchia. Per l’arretramento della democrazia, con i primi casi di Paesi che mettono a rischio libertà fondamentali all’interno dell’UE, in Polonia e Ungheria, e con l’incredibile uscita di scena del governo di Donald Trump. Il presidente uscente degli Stati Uniti ha tentato in tutti i modi di rovesciare il risultato inequivocabile delle urne incrinando la fiducia nelle istituzioni e inoculando nel Paese il veleno dei sospetti, per minare la già difficile strada che il suo successore dovrà percorrere.
Se si collegano tutti questi punti si può concludere che il filo conduttore del 2020, dalla (mancata) gestione della pandemia fino alle limitazioni delle libertà, è la frattura dell’ordine globale, o per meglio dire il venir meno del rispetto per il multilateralismo. Il concetto del multilateralismo si può far risalire a Nehru e al periodo immediatamente successivo all’indipendenza dell’India: una forma di costruzione del consenso globale che doveva superare i traumi del colonialismo, ben sapendo che le relazioni bilaterali, cioè fra due soli Stati, finivano sempre per favorire quello più forte. Il multilateralismo si basa sull’idea del condominio globale, dove ogni membro ha voce e diritti e dove si affrontano i problemi che da soli è impossibile risolvere.
Cambiamento climatico, economia, pace, diritti umani sono capitoli di un’agenda che interessa l’intero pianeta, e non possono in nessun modo essere risolti senza la cooperazione tra tutti gli Stati. Il venir meno di questa dimensione è sicuramente il dato peggiore dell’annus horribilis 2020. Anche i danni provocati dalla pandemia e le ingiustizie che già si intuiscono sia nella distribuzione dei vaccini tra i diversi Paesi, sia nell’affrontare il problema del debito, che nel frattempo è uscito quasi di controllo, sono un altro effetto collaterale della mancanza di condivisione e di governance mondiale, almeno per le questioni sovranazionali.
Il mondo formato da sole potenze litigiose non ha mai funzionato, tranne nell’800, quando tre o quattro Paesi, con le loro cannoniere, dettavano legge e stabilivano il buono e il cattivo tempo per tutti.