Non è facile vederlo, se non si sa cosa cercare. Non è facile capire di che cosa si tratti, passandoci accanto. E, forse, non era facile nemmeno nel 1944. Eppure proprio da qui iniziò, oltre settanta anni fa, il viaggio di centinaia di persone verso un inferno chiamato Auschwitz. Qui sorge oggi il Memoriale della Shoah.
Il binario 21 della Stazione centrale di Milano non è un binario come gli altri. Per cominciare, si trova al livello della strada, quindi al di sotto dei binari ferroviari ordinari. Serviva originariamente per il carico e lo scarico delle merci dai vagoni postali, con accesso diretto a Via Ferrante Aporti. I vagoni merci, una volta caricati, venivano sollevati tramite un elevatore al piano sopra.
E fu proprio su questi vagoni che furono caricati centinaia di italiani retrocessi al grado di merci senza valore, quando essere ebrei divenne una colpa. Già nel 1938, con l’entrata in vigore nel nostro Paese delle leggi razziali fasciste, le persone di origini ebraiche erano state allontanate dalle scuole pubbliche, dall’insegnamento nelle università, in molti casi dal posto di lavoro.
Ma è dopo l’8 settembre 1943 che dalla discriminazione si passa alla deportazione. L’Italia ora non è più alleata, ma occupata dai Tedeschi, le leggi della Repubblica di Salò dichiarano gli ebrei “appartenenti alla nazionalità nemica”. I fascisti della Rsi li incarcerano sulla base di leggi italiane, i nazisti li caricano sui treni piombati fino ai campi della morte, basandosi spesso sugli elenchi predisposti dalle questure italiane dopo l’entrata in vigore delle leggi del 1938. A Milano i vagoni carichi di ebrei, una volta posizionati sulla banchina di partenza, vengono agganciati ai convogli diretti ai campi di concentramento e sterminio (Auschwitz-Birkenau, Bergen Belsen) o ai campi italiani di raccolta, come Fossoli e Bolzano. Tutto questo è accaduto, ha potuto accadere sotto gli occhi dei cittadini di Milano, e dell’Italia intera.
Indifferenza. È questa parola, scritta a lettere cubitali su di un lungo muro, ad accogliere i visitatori del Memoriale della Shoah, sorto in un’area di 7000 metri quadrati, su due piani, attorno al binario 21, proprio per ricordarsi di ricordare. “Come una nuvola grigia, una nebbia che avvolge, l’indifferenza non può essere sconfitta con nessuna arma”, spiega nelle sue testimonianze Liliana Segre, un’anziana signora di oltre ottant’anni con un numero di cinque cifre tatuato sul braccio. “Le persone, gli italiani, di fronte alle leggi razziali furono per lo più indifferenti. E lo furono anche quando dalla Stazione Centrale di Milano iniziarono a partire i convogli per Auschwitz, carichi di esseri umani”.
È il 30 gennaio 1944 quando iniziano a partire i primi treni. Soltanto 22 dei 605 ebrei milanesi deportati quel giorno tornarono a casa. Tra di loro anche Liliana, che entrò ad Auschwitz tredicenne e ritornò senza il padre, morto nel campo di concentramento. E, a distanza di anni, ormai anziana, ha deciso di raccontare quanto accaduto nelle scuole. Perché la storia possa non ripetersi. Il percorso tematico del museo, sviluppato per iniziativa della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, si snoda dalla “Sala delle testimonianze”, dedicata alle voci dei sopravvissuti, fino al “cuore” del Memoriale: il “Binario della Destinazione Ignota” e il “Muro dei Nomi”, dove sono ricordate tutte le persone deportate dal Binario 21.
Per commemorare una tragedia che nessuno può e deve dimenticare. Ma soprattutto per porre le basi di un futuro di convivenza civile, in cui la vita e la dignità umana siano davvero valori non negoziabili.
Francesca Radaelli