Il dopo referendum: chiari e oscuri della politica

di Marco Riboldi

Il nostro direttore mi chiede una analisi del dopo referendum. Non facile, ma proviamoci.

Il risultato del referendum è chiaro: la vittoria del SI’ è stata netta e, malgrado qualche dissenso interno ai partiti, pur avendo una certa consistenza, non è stato sufficiente a cambiare le cose. Certo, tra il 98% dei voti in parlamento e il 70% circa dei voti nel paese la differenza esiste, ma in concreto non cambia alcunché.

Vedremo adesso come verrà affrontata la sfida di completare la riforma, con una nuova legge elettorale, magari con la differenziazione delle competenze tra le due camere.

Comunque, sul referendum c’è poco da dire e giustamente il Movimento 5 Stelle se ne ascrive il merito, essendo stato il principale fautore della legge di riforma.

Differente il discorso sui risultati regionali.

Il centro sinistra alla fine perde una regione (le Marche). Il centro destra conquista le Marche e mette a segno punti importanti in Toscana e Puglia.  Fuori quota Campania e Veneto. La Valle d’Aosta vota con il proporzionale: probabile, al momento, una coalizione di centro destra.

Gli equilibri tra i partiti di governo segnano il rafforzamento del PD, il forte calo del Movimento 5 Stelle, probabilmente non dovuto solo al consueto scarso radicamento sui territori e la riduzione al lumicino di Italia Viva.

Succederà qualcosa?

Difficile pensare che questo qualcosa siano le elezioni anticipate: anzitutto decine e decine di parlamentari hanno ben chiaro in testa che su quelle poltrone non torneranno e il “quando mi ricapiterà?” è una riflessione potentissima. Più facile prevedere movimenti migratori di parlamentari terrorizzati in cerca di posizioni meno incerte: ma sarà difficile trovare posti.

Inoltre, c’è di mezzo la necessità di predisporre il piano per i finanziamenti europei e, non da ultimo, la prospettiva di andare alla elezione del nuovo Presidente della Repubblica, nel 2022 (il che, dato che le Camere non possono essere sciolte nei sei mesi precedenti, fissa alla estate 2021 il termine ultimo per un’eventuale, improbabile, indizione delle elezioni).

Il governo è al sicuro?

È opinione comune che esca rafforzato dai risultati, anche se il patto di governo sembra sempre più qualificabile come l’alleanza del G.R.A. Nel senso che non va oltre il Grande Raccordo Anulare che circonda la città di Roma.

Il protagonismo del presidente Conte non sembra riscuotere molta simpatia nei suoi compagni di governo: assurto inaspettatamente al ruolo di Presidente del Consiglio in qualità di portavoce dei partiti di riferimento, adesso si considera vero statista.

Addirittura, pare voglia mettersi in proprio, confidando in un consenso personale, soprattutto mediatico. Apparire periodicamente alle 20.00 in TV, ciuffo nero d’ordinanza e proclami che parevano quelli di Churchill in guerra, ha senza dubbio giovato alla popolarità.

Ma farebbe bene a ricordare l’esperienza di Monti, della cui lista, pur con alcuni parlamentari eletti, si sono perse le tracce.

Ma, a parte qualche probabile cambiamento fra i ministri, qualcuno vorrà assumersi la responsabilità di una crisi di governo? Dopo questi risultati non crederei, ma un incidente parlamentare apparentemente casuale (ad esempio sul MES) può sempre succedere: poi, quando si comincia una crisi, o già si sa come chiuderla o può capitare di tutto (per esempio un governo cosiddetto tecnico, con Conte restituito ai suoi studenti).

Nel PD i risultati di Toscana e Puglia hanno provocato sospiri di sollievo tali da innescare perturbazioni meteo, ma mi pare cresca una certa insofferenza verso una alleanza innaturale che ogni giorno mostra le sue crepe (facile pensare che quando si analizzeranno i voti per il NO si troveranno molti elettori del PD),  né mi pare che gli elettori di centro sinistra abbiano avuto grandi soddisfazioni.

Riusciranno a stare insieme il giustizialismo spinto del Movimento 5 Stelle e il garantismo del centro sinistra? Un assistenzialismo che si cura solo di distribuire aiuti a pioggia e un progetto che ha sempre avuto attenzione al lavoro e non solo alla pura assistenza sociale?

Un tenace disprezzo per la politica, concretizzato nella costruzione di un modello di movimento – partito dove nulla contano studi ed esperienze e una concezione della politica come nobile professione che si impara dai libri, dagli esempi, dalla paziente applicazione? Zingaretti pare più saldo in sella, grazie allo scampato disastro, ma di qui a essere soddisfatti ce ne corre.

Ma forse ad essere in questione è la natura stessa degli attuali partiti di sinistra. Di fronte alle domande quotidiane del cittadino medio (burocrazia meno complicata, giustizia più  veloce, lavoro, sicurezza, migrazione) il centro-sinistra si avvita in una serie di ragionamenti intelligentissimi, per lo più condotti con un linguaggio contorto e con un atteggiamento di superiorità intellettuale e morale, spiegando sempre che il problema è più profondo (di solito in buro-sinistrese si dice “a monte”) e che quindi bisogna pensare in termini più ampi, strutturali, senza fermarsi ad una analisi superficiale ecc. ecc.

Il che è molto interessante, ma non comunica un granché all’elettore, che vorrebbe notizie certe su un programma praticabile oggi, non nello splendore del sol dell’avvenire.

Il Movimento 5 Stelle, che pure come detto con il referendum porta a casa un risultato anche simbolicamente notevole, è di fronte ad una decisiva svolta esistenziale, come dimostra anche il deludente risultato numerico dei voti ricevuti dalle sue liste. La sua identità non può più essere ricondotta all’iniziale antipolitica, al suo ribellismo anticasta: adesso il Movimento è parte del sistema, è nel cuore del potere e ha dovuto fare, non solo proclamare.

E fare ha significato scegliere, scontentare, sbagliare.

Alcuni ministri del tutto inadeguati, il fallimento di alcuni progetti (il reddito di cittadinanza tra poco dovrebbe essere rinnovato: facile immaginare che il bilancio dei risultati ottenuti sarà impietoso), la inversione a U su alcuni temi simbolo (NO TAV, NO ILVA, NO TAP, NO terzo mandato… diventati tutti SI’) saranno oggetto, credo, di un dibattito interno piuttosto complicato.

 O almeno lo sarebbero in un qualsiasi movimento politico: vero che dai 5 Stelle ci si può aspettare di tutto, ma comunque il prossimo periodo potrebbe essere un momento non facilissimo. (Anche perché i protagonisti – Di Maio, Di Battista, Casaleggio, per fare solo tre nomi – hanno forti ambizioni e alta considerazione di sè: un insieme non facile da trattare).

La Destra di Salvini e Meloni esce dalle elezioni con un presidente in più, un numero maggiore di consiglieri regionali anche dove ha perso e può anche intestarsi la vittoria referendaria.

Certo Salvini ha di che rammaricarsi, avendo puntato forse troppo sull’illusione di strappare Toscana e Puglia; inoltre il successone di Zaia, forse, porrà qualche nodo da sciogliere. Ma tutto sommato  a destra non ci si può lamentare.

Alle domande dei cittadini, in questo campo politico si offrono risposte dirette e soprattutto comprensibili a tutti, che hanno il pregio di arrivare subito agli elettori.

Il problema è che queste risposte sono più fascinose che concrete, più semplicistiche che semplici: si pensi al tema del rimpatrio dei clandestini, sul quale, proclami a parte, non si è prodotto un granché neppure durante il non breve periodo di Salvini al Ministero degli Interni.

Si ripete di continuo e come una litania “elezioni subito (e adesso mi aspetto un intensificarsi del tema “Parlamento Illegittimo”, visto il risultato del referendum), come se le elezioni fossero il rimedio di ogni male. Ma questo ritornello finisce per indebolire la fiducia dei cittadini nella politica in sé, non in questa o quella formazione.

E la ripetizione ossessiva di tematiche importanti ridotte a slogan, se non addirittura proposte con deformazioni della realtà, sarà pur efficace elettoralmente, ma poi non regge alla prova dei fatti, del governo concreto delle situazioni.

Può una politica basarsi su questo tipo di propaganda che non prospetta soluzioni applicabili? (e qui entra in gioco anche la funzione dei giornalisti. Ma possibile che nessuno abbia mai chiesto alla on. Meloni: “Quando lei chiede il blocco navale sulla Libia, si rende conto che chiede un atto unilaterale di guerra? perché così è qualificato il blocco navale dal diritto internazionale. Ma lei vorrebbe che i nostri marinai sparassero sui barchini dei migranti o li speronassero o quale altra soluzione pratica sceglierebbe? Ce lo spiega con chiarezza, per favore?”).

Due osservazioni conclusive: la sinistra non si illuda di fermare la destra cambiando la legge elettorale.

 Spero che non scatti nel centro sinistra l’idea che la soluzione dei suoi problemi possa essere una legge elettorale tale da rendere difficile la vittoria netta di una coalizione: si convinca, la sinistra, che la destra va battuta nelle elezioni, non con leggi elettorali pasticciate. Sarebbe deludente una strategia basata su una legge pensata per produrre ancora governi politicamente e numericamente debolissimi, appesi al filo dei trasformisti di turno. Infine: certo, adesso ci sono momenti ancora di emergenza, da affrontare con misure inusuali. Ma l’emergenza finirà, prima o poi: saremo pronti a fare finalmente politica?

 

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