“Il fondo della bottiglia” di Georges Simenon, Adelphi

di Carlo Rolle

Buongiorno, amici lettori. Vi propongo un altro romanzo di Georges Simenon (1903 – 1989) pubblicato nella collana “Biblioteca” di Adelphi: “Il fondo della bottiglia”.

Una strana avvertenza che precede il libro

Da dove cominciare per parlare di questo libro? Partiamo da un dato concreto, anche se pare un dettaglio insignificante. Se anche a voi piace gustare i preamboli di un libro prima di addentarne voracemente il testo, se cioè vi piace guardare il frontespizio col nome del traduttore, leggerne il titolo in lingua originale, controllare l’anno e il nome dell’editore che pubblicò il libro per a prima volta, vedrete che l’inizio del primo capitolo è preceduto da un’avvertenza in caratteri minuscoli:

“I personaggi e gli eventi narrati in questo romanzo sono puramente immaginari e privi di qualsiasi riferimento a persone viventi o defunte”.

Il risvolto di copertina dell’edizione Adelphi ci avverte che un tale avviso è rarissimo nei romanzi di Simenon e si sofferma sulle ragioni di esso.

Questo libro fu scritto nel 1948, a brevissima distanza dall’altro libro di Simenon che ho recensito in questa serie: “La neve era sporca”. Si tratta di due romanzi diversi per le vicende narrata, per le figure dei protagonisti, per le ambientazioni geografiche e le estrazioni sociali dei rispettivi personaggi. Tuttavia i due libri hanno un elemento in comune, che dirò più avanti, e sono entrambi tra i romanzi più “noir” di Simenon. Essi si integrano bene nel dare un’idea più completa dello scrittore e per questo ho pensato di presentarli uno dopo l’altro.

 

Una dolorosa vicenda dello scrittore

Nel gennaio del 1948, appena prima che i due libri fossero scritti, Simenon aveva dovuto dare alla madre la notizia che il suo figlio prediletto, Christian, di tre anni minore di Georges, era stato ucciso in combattimento in Indocina, durante un servizio di perlustrazione vicino alla frontiera cinese. “È colpa tua, lo hai ucciso tu!” gli disse la madre. Era stato infatti Georges ad invitare tre anni prima il fratello ad arruolarsi nella Legione Straniera.

Il fatto è che Christian durante l’occupazione nazista del Belgio aveva aderito al Partito Rexista di Léon Degrelle, un movimento fascista e tradizionalista cattolico, che rimase di proporzioni ridotte fino all’invasione del Belgio nel 1940, ma poi divenne l’alleato degli occupanti. Nel 1944 Christian partecipò alla spedizione punitiva delle SS contro la cittadina di Courcelles, che fece 27 morti. Secondo testimonianze dei partecipanti fu proprio Christian Simenon a sparare al curato di Charleroi, uccidendolo. Nel 1945, nel Belgio liberato, il fratello dello scrittore fu condannato a morte in contumacia e Georges gli consigliò di sparire arruolandosi nella Legione Straniera.

Poiché l’arruolamento nella Legione comportava anche un cambiamento del nome, non è escluso che questo passo facesse comodo a Georges, già famoso romanziere, liberandolo di un parente impresentabile, anche se in quegli anni altri aderenti a partiti fascisti di vari paesi scelsero di arruolarsi nella Legione. Comunque Christian si arruolò e meno di tre anni dopo fu ucciso in un’imboscata in Vietnam.

Così, nei mesi immediatamente successi alla morte del fratello, Georges Simenon, come per liberarsi dei propri fantasmi, scrisse i due romanzi di cui vi ho parlato. In entrambi, compare un giovane scapestrato che compie almeno un atto violento e irreparabile, che rovina per sempre la sua vita e quelle altrui. Entrambi i romanzi nascono da intense esperienze personali: ne “La neve era sporca” Simenon descrive la plumbea atmosfera di un paese occupato, dove la tortura e la morte sono fatti quotidiani; ne “Il fondo della bottiglia” invece Simenon descrive il rapporto con un fratello minore che è diventato un criminale.

 

L’ambiente del romanzo

Ci troviamo a Nogales, all’estremo sud dell’Arizona, al confine col Messico. In realtà un agglomerato urbano si estende da entrambi i lati del confine, che è costituito dal letto, spesso asciutto, del fiume Santa Cruz. Dal lato degli Stati Uniti vive Patrick Martin Ashbridge, avvocato, che gli amici chiamano semplicemente P. M. Nato in un altro stato da una famiglia di modesti lavoratori, dopo un divorzio ottenuto quando era ancora molto giovane, si è trasferito a Nogales, dove è riuscito a farsi una posizione e ad integrarsi nella comunità dei notabili del luogo.

Costoro sono quasi tutti di proprietari di enormi ranch nelle distese aride e semi-spopolate della regione. Questa gente passa la vita a curare con poco sforzo i propri interessi e si ritrova quasi ogni sera ora a casa dell’uno ora a casa dell’altro. Tutti possiedono enormi case, nelle rispettive tenute, case con decine di stanze, in cui è facile accogliere ospiti anche per la notte, quando questi hanno bevuto troppo per guidare. Sono tutte persone molto ricche, prive di interessi culturali, che passano il loro tempo a parlare delle stesse cose, a bere e a giocare a carte.

 

Una visita notturna inaspettata

Il romanzo si apre in un bar, dove il protagonista, secondo un rituale consolidato, si attarda a sorseggiare l’ultimo whisky. Frank beve, come quasi tutti gli uomini da quelle parti, ma è attento a non superare certi limiti, a mantenere un contegno, a nascondere quella sua inclinazione. Siamo alla fine di luglio e tutti attendono, dopo mesi di siccità, l’arrivo della pioggia, la quale è già nell’aria. Ogni volta che piove forte, il fiume Santa Cruz, che di solito è in secca, si gonfia rapidamente con l’acqua che scende dalle montagne messicane e rende impossibile passare il confine, perché non vi sono ponti in quella zona.

Quando P.M. esce dal bar, intorno a mezzanotte, la pioggia ha già iniziato a cadere. Giunge a casa nella notte, guidando sotto il diluvio. Quando scende dall’auto e fa per entrare in casa, si sente chiamare da un uomo che lo aspettava: è una voce che non sentiva da molti anni. Si tratta del suo fratello minore Donald, che qualche anno prima aveva sparato ad un poliziotto, ferendolo gravemente. Apprendiamo la sua storia attraverso le conversazioni con P.M.

 

Un problematico parente

Donald è stato condannato per quel fatto ad una lunga pena detentiva, ma è riuscito poi ad evadere dal penitenziario di Otisville e da allora è latitante. Donald è sposato con Mildred, che lo ama e gli ha dato tre figli, ancora molto giovani. Mildred non lo ha mai rivisto da quando è evaso, ma ora lo attende dall’altro lato del confine, in Messico, a poca distanza da lì; anche i bambini sono con lei. E ora Donald ha bisogno che P.M. lo aiuti a passare il confine.

La situazione è grave: Donald non ha soldi e anche Mildred, dall’altra parte del confine, non ha praticamente di che campare. Il fiume ormai si è gonfiato e non è più possibile passare. Bisognerà aspettare che il livello dell’acqua si abbassi, ma ci vorranno giorni. Inutile dire che nessuno degli amici di P.M., né tantomeno la sua compagna Nora, sospetta che lui abbia un fratello ricercato dalla polizia. Se qualcuno lo sapesse, tutto ciò che P.M. ha costruito nel corso di anni verrebbe distrutto.

 

P.M. cerca di far fronte al pericolo

P.M. inventa allora per Donald il falso nome di Eric Bell e lo presenta come un suo vecchio amico che è venuto a trovarlo dopo molti anni. L’ospite inatteso viene guardato con grande curiosità da quella gente annoiata e priva di interessi culturali, che ha esaurito da tempo gli argomenti di conversazione in quel luogo dove non succede mai niente. Donald, che nella sua vita ha dimostrato di essere più debole e meno responsabile di P.M., ha però un suo fascino, uno strano carisma, che gli deriva anche dalla sua età più giovane, dalla sua forma fisica, dalla sua abitudine ha parlare poco. Alcune donne tra le conoscenze di P.M. si sentono attratte da quest’uomo, che non riescono a classificare.

Ma quando si mente, come ha dovuto fare P.M. a proposito dell’enigmatico Eric Bell, è inevitabile che qualche dettaglio non quadri del tutto. Per spiegare alcuni di questi dettagli, P.M. si è inventato che il suo amico abbia avuto in passato qualche problema con l’alcol, e che quindi sia opportuno evitare di farlo bere. Tutti si attengono scrupolosamente a questa raccomandazione, della quale l’ospite è ignaro; ma intanto osservano, si pongono domande, comparano quanto l’uomo dice ad uno o all’altro degli amici di P.M.

 

Verso una drammatica conclusione

Con P.M. Donald si comporta inizialmente con umiltà e discrezione, mostra di esser pienamente conscio che la propria vita è nelle mani del fratello, è affidata alla sua generosità. Ma poi gradualmente affiora in lui l’amarezza per il proprio diverso destino, il tacito rimprovero per la ricchezza e la sicurezza della vita che fa P.M., mentre la sua vita è invece precaria, disperata, oppressa dal pensiero della povertà della moglie e dei figli.

Il rapporto tra i due fratelli si dipana nel corso del romanzo, mentre il livello del fiume si mantiene troppo alto per il guado e alcuni sospetti si fanno strada tra i conoscenti di P.M.

La tensione si accumula e alla fine degenera con una caccia all’uomo, in quella terra dove tutti hanno armi da fuoco sotto mano, in cui tutti aspettano di trasformarsi in cacciatori e giustizieri. Eppure il tragico finale sarà sorprendente. Un cupo destino che gravava sui personaggi compirà il suo corso in modo inaspettato.

 

Temi ricorrenti in Simenon

In conclusione, amici lettori, direi che la trama di questo libro presenta una situazione ricorrente, a grandi linee, nei romanzi di Simenon (escludendo quei del commissario Maigret). Essi sono ambientati in un luogo dove la vita scorre monotona, secondo una routine consolidata. Simenon ci presenta il suo protagonista, diverso da romanzo a romanzo, e con lui alcuni personaggi comprimari che abitano questo luogo. Normalmente non si tratta di persone intellettualmente brillanti; spesso sono persone piuttosto limitate, che vivono la loro vita seguendo certe abitudini. Alcuni di loro sembrano tipi del tutto innocui. Nel presentare questi personaggi, Simenon costruisce gradualmente, senza descrizioni ma per accenni successivi, l’atmosfera di questo luogo, che può essere di volta in volta una cittadina della Francia, degli Stati Uniti o una qualche località tropicale.

In quest’atmosfera torpida accade però, all’inizio di ogni libro, qualcosa che turba il consueto svolgimento dei giorni. Può essere in delitto, oppure l’arrivo di uno straniero o qualcosa d’altro ancora, che porta turbamento in quest’ambiente, anche se l’equilibrio che c’era era semplicemente fondato sulla tradizione, sulle abitudini.

Questo equilibrio dovrà essere in qualche modo ristabilito; la perturbazione dovrà essere eliminata in un modo che solitamente comporterà la morte di qualcuno. Potrebbe trattarsi di colui che ha turbato l’equilibrio o di un altro, il lettore non lo saprà fino alla fine, ma si tratta in qualche modo di una vittima sacrificale, contro la quale si coalizzeranno infine gli abitanti del luogo, anche i più innocui tra loro.

 

Il capro espiatorio, che attira la violenza di una comunità

È la classica situazione del capro espiatorio, contro il quale si scatena la violenza mimetica di un’intera comunità, la situazione più antica e generalizzata della storia umana, come la descrisse René Girard nei suoi affascinanti libri: “La violenza e il sacro”, “Il capro espiatorio” e altri.

La violenza mimetica è la violenza conformista, quella di tutti contro uno solo, quella dei conformi contro il deviante, non meno crudele e spietata di altre forme di violenza. È l’eterna storia di Edipo giunto a Tebe, che porta la maledizione sulla città pur essendo un uomo giusto e totalmente ignaro di aver ucciso il proprio padre e sposato la propria madre. Dovrà comunque pagare duramente per l’ordine che è stato turbato.

Questo è il tema di cui volevo parlarvi oggi e proporvi una possibile chiave di lettura per alcuni romanzi di Georges Simenon. Arrivederci, amici lettori, alla prossima!

 

Georges Simenon: "Il fondo della bottiglia"
In copertina: “Death Valley, California” (1940), fotografia di Robert Haas. 

Per chi fosse eventualmente interessato, ecco i link alle precedenti recensioni:

 

– 1) “Storie e leggende napoletane”, di Benedetto Croce; 

– 2) “Il monaco nero in grigio dentro Varennes”, di Georges Dumézil; 

– 3) “I Vangeli Gnostici”, a cura di Luigi Moraldi; 

– 4) “La Cripta dei Cappuccini”, di Joseph Roth; 

– 5) “Fuga da Bisanzio”, di Iosif Brodskij; 

– 6) “Andrea” o “I ricongiunti”, di Hugo von Hofmannsthal; 

– 7) “Lo stampo”, di Thomas Edward Lawrence; 

– 8) “Un altro tempo”, di Wystan Hugh Auden;

– 9) “Fuga senza fine. Una storia vera”, di Joseph Roth; 

– 10) “Biblioteca”, di Fozio; 

– 11) “Mysterium iniquitatis”, di Sergio Quinzio;

– 12) “L’altra parte”, di Alfred Kubin;

– 13) “Massa e potere” di Elias Canetti;

– 14) “Edda” di Snorri Sturluson, a cura di Giorgio Dolfini;

– 15) “In Patagonia”, di Bruce Chatwin;

– 16) “La coscienza delle parole”, di Elias Canetti;

– 17) “Un sogno in rosso”, di Alexander Lernet-Holenia;

– 18) “La neve di San Pietro”, di Leo Perutz;

– 19) “La neve era sporca”, di Georges Simenon.

 

 

 

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