Quando ero studente di medicina, sui testi di biologia si stimava che il genoma umano fosse costituito da 70.000-100.000 geni. Successivamente, solo pochi anni dopo, si passò ad un drastico ridimensionamento in seguito al primo sequenziamento dell’intero genoma (2000), che li ridusse a 26.000-30.000.
Grazie a successive analisi dopo il completamento del progetto genoma, questa stima fu rivista nuovamente portandoli a 20.700. In uno studio pubblicato di recente, nel 2014, e apparso su Human Molecular genetics, il numero di geni ed in particolare della porzione codificante del genoma umano si è ridotto ulteriormente: sarebbero infatti non più di 19.000.
Con l’uso della proteomica su scala genomica è stato possibile dimostrare che 1700 sequenze di DNA, che prima si riteneva fossero tradotte in proteine, in realtà non hanno questa funzione.
E’ emerso, inoltre, che la quasi totalità dei geni umani ha un’origine antichissima, in quanto oltre il 90% è condiviso con tutti gli animali dotati di una simmetria bilaterale (cioè con un asse corporeo centrale con ai lati due metà, destra e sinistra), mentre nessuno avrebbe avuto origine negli ultimi 50 milioni di anni, dopo la comparsa dei primati.
Come già era emerso in precedenza, la complessità umana dal punto di vista biologico, non risiede quindi nel numero di geni, confrontabile con quello delle altre specie animali, ma nell’estrema diversità con cui le sequenze codificanti vengono trascritte e attivate, lette e tradotte in una miriade di proteine differenti, ognuna attiva in un determinato stato funzionale della cellula e in un determinato stadio cellulare differenziativo o replicativo, che permette poi all’organismo di funzionare e di mantenere l’omeostasi fisiologica e quindi in ultima analisi la salute.
Roberto Dominici