di Daniela Annaro
E’ alto poco più di centoquaranta centimetri, l’Amorino alato di Antonio Canova che apre la bella e complessa mostra alle Gallerie d’Italia, a Milano (piazza Scala,1 fino al 27 marzo 21).
Una scultura preziosa, proviene dall’Ermitage, sia per l’autore sia per il suo significato intrinseco: era un “souvenir d’Italie”, un ricordo raffinato del viaggio nel Bel Paese, commissionata dal principe russo Nicolaj Borisov Jusupov che visitò più volte Roma e Torino anche in missione diplomatica per l’imperatrice Caterina II.

Lo scultore di Possagno la terminò nel 1797, ma in Russia arrivò solo nel 1802. L’Europa, in quel tempo, era tornata in guerra, Napoleone Bonaparte la percorreva da nord a sud. E, infatti, fino al 1796, – fino alla prima Campagna d’Italia guidata dal giovane generale corso – la penisola italiana aveva goduto anni di “profondissima pace” come soleva dire lo storico dell’arte Leopoldo Cicognara.
Poco meno di cinquant’anni , dal 1748 col Trattato di Aquisgrana, che consentirono al nostro paese di diventare un forte polo di attrazione per nobili, intellettuali, artisti europei. L’Italia era il paese di massima attrazione per chi doveva scoprire e ritrovare le proprie radici culturali, in Italia greci e romani avevano generato un sapere profondo che si ritrovava nelle “ruine” che , lentamente, emergevano dal passato proprio in quegli anni. Roma, Napoli, Firenze, Venezia era le tappe fondamentali del Grand Tour, del Viaggio in Italia come Johann Wolfang Goethe, nel suo testo più amato, lo avrebbe chiamato.
Di tutto questo dà conto la mostra curata da Fernando Mazzocca con Stefano Grandesso e Francesco Leone: Grand Tour d’Italie. Sogno di Italia da Venezia a Pompei.
L’Italia – racconta Mazzocca – diventò allora il maggior mercato dell’arte antica ma anche una grande, diffusa manifattura di oggetti preziosi. Nacque un’industria artistica di altissimo livello, con la fioritura di tecniche diverse come le porcellane di Capodimonte a Napoli o di Doccia a Firenze; gli argenti e i bronzi di Valadier o gli arredi visionari di Piranesi a Roma. E poi i paesaggi e le vedute di Van Wittel, Canaletto, Guardi, Panini. Senza poi contare i richiestissimi ritratti dei viaggiatori ambientati tra le antichità classiche di Pompeo Batoni o del rivale Anton Raphael Mengs e delle pittrici Elisabeth Vigée Lebrun e Angelica Kaufmann.
Questa è la prima mostra dedicata a questo fenomeno, il Grand Tour. Ci sono voluti più di tre anni di studio e un delicato e complicato rapporto con importanti musei e collezionisti per far rivivere quella straordinaria percezione che il mondo aveva del nostro Paese, culla del sapere antico e luogo di grandissimo fascino naturale.