Il grido dei profughi e lo sguardo del reporter

di Francesca Radaelli – Fotografie di Stefania Sangalli

Dai naufragi nel Mediterraneo alla guerra in Ucraina. Passando per la Brianza. Questo l’itinerario geografico della serata intitolata “Il grido dei profughi”, che si è tenuta lo scorso 6 ottobre al Teatro Triante di Monza, organizzata da Il Dialogo di Monza e condotta dal direttore Fabrizio Annaro.

Un percorso più lineare di quanto possa sembrare: “Del resto, i testimoni di tante guerre ‘dimenticate’ dalla stampa li abbiamo proprio a casa nostra”, ricorda l’ospite della serata, il giornalista Nello Scavo, che sulle pagine di Avvenire ha raccontato sia i traffici di uomini nel Mediterraneo sia i bombardamenti su Kiev.

Il dramma dei profughi

Barelle, bivacchi e impronte digitali: questi i simboli scelti dall’artista brianzolo Enzo Biffi per raccontare il viaggio dei profughi, attraverso una serie di installazioni realizzate in diverse località in giro per l’Italia, tra cui anche la Riace di Mimmo Lucano. Con queste immagini di forte impatto, in scorrimento su un grande schermo, si è aperta la serata.

Da sinistra: Enzo Biffi e Fabrizio Annaro

Altro intervento artistico di grande impatto è stato quello del violinista Pietro Boscacci, che ha suonato uno dei ‘violini del mare’ realizzati nel carcere di Opera, grazie al progetto Metamorfosi promosso dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti. “Questo violino è costruito con il legno dei barconi dei migranti”, ha spiegato il presidente della Fondazione Arnoldo Mosca Mondadori. “Porta con sé il dolore dei morti nel Mediterraneo, ma è anche un potente simbolo di trasformazione e rinascita”.

L’accoglienza in Brianza

Una trasformazione che può avvenire anche nelle vite di chi arriva in Italia. In Brianza i progetti di accoglienza diffusa, realizzati da Consorzio Comunità Brianza e da CS&L, mirano proprio a dare la possibilità a chi arriva di inserirsi nel tessuto sociale ed economico del territorio. “Noi ci occupiamo dell’altra faccia della medaglia”, spiega Giancarlo Brunato, presidente del consorzio CS&L che festeggia i 30 anni di attività. “Non salviamo vite in mare , ma cerchiamo di accogliere in modo efficace le persone che arrivano”.

Gli fa eco Massimiliano Giacomello di Consorzio Comunità Brianza: “Da sempre lavoriamo per l’autonomia delle persone e continueremo a farlo, nonostante le difficoltà burocratiche e il clima sempre più ‘pesante’ che ci circonda. Continueremo perché tante persone ce l’hanno fatta proprio grazie a questi percorsi”.

Da sinistra: Giancarlo Bonato, Fabrizio Annaro e Massimiliano Giacomello

Tra il numeroso pubblico in sala c’è anche Paolo Pilotto, sindaco di Monza. “Questa sera siamo tutti qui per coltivare la nostra sensibilità”, dice quando viene chiamato sul palco. “Io personalmente anche per portarmi a casa un compito, per assumermi una responsabilità. Quella dell’amministratore locale che può e deve intervenire sia su questioni locali, come le pratiche di accoglienza, sia su questioni internazionali, come abbiamo fatto in consiglio comunale nei giorni scorsi varando all’unanimità una mozione rivolta al governo iraniano in seguito alle proteste scoppiate in quel Paese. Una mozione ingenua, forse, ma non evitabile!”

Paolo Pilotto

Lo scandalo nel Mediterraneo

Il secondo atto della serata vede salire sul palco Nello Scavo, giornalista di Avvenire, corrispondente di guerra e autore di inchieste importanti sul traffico di esseri umani nel Mediterraneo. Intervistato da Laurenzo Ticca, ex giornalista Mediaset e scrittore, Nello Scavo presenta al pubblico monzese il suo libro “Kiev”, che contiene il racconto dei primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina.

Ma, a pochi giorni dal 3 ottobre, anniversario della tragedia di Lampedusa del 2013, tocca anche il tema dei profughi nel Mediterraneo, tornando a denunciare la “Trattativa Stato (italiano) – mafia (libica)”, ossia gli accordi stretti dal governo italiano nel 2017 con le milizie libiche, per fermare i migranti nei centri di detenzione, dove sono state documentate innumerevoli torture e sevizie: “Ci sono state tante inchieste, abbiamo pubblicato persino i bonifici, dimostrando il pagamento di centinaia di milioni di euro da parte dello Stato italiano alle milizie libiche, senza porre condizioni”, denuncia Nello Scavo, sotto scorta da tre anni proprio per queste inchieste che coinvolgono anche traffici illeciti di armi e droga. “I nostri soldi sono stati usati per torturare degli esseri umani. Ne abbiamo testimonianze anche qui vicino: all’ospedale di Monza ci sono medici che si occupano proprio della ricostruzione degli arti a persone torturate nei centri di detenzione libici”.

Pietro Boscacci

Come si racconta una guerra

La guerra che piomba inaspettata su Kiev è raccontata nel libro in presa diretta, con lo sguardo principalmente sui civili. Nello Scavo arriva a Kiev il 21 febbraio, diretto verso il Donbass, tutti si aspettano il colpo di grazia di Mosca. La guerra lì infuria dal 2014: una delle tante guerre dimenticate dalla stampa italiana. La capitale ucraina è colpita all’improvviso. Una colonna di carri armati russi lunga 60 chilometri si profila alle porte della città, mentre colonne di profughi se ne allontanano. La gente scappa con ogni mezzo, compresi i monopattini elettrici. “In quel momento tutti commettemmo l’errore di dare per certo che la città sarebbe caduta”, ricorda Nello Scavo. “Invece i giovani ucraini iniziarono a preparare molotov ed esplosivi nelle strade e cominciò la guerriglia. Fu allora che io capìi, e lo scrissi,  che la guerra non sarebbe finita così presto”.

Una guerra contro i civili

La guerra descritta nelle pagine del libro – “scritto per recuperare una serie di dispacci dal fronte, con l’aggiunta della narrazione del mio vissuto personale” – è una guerra deliberatamente portata contro i civili. Sia per spaventare un Paese intero, sia per creare una massa di profughi verso l’Europa. L’Europa però decide di mettere in campo misure di accoglienza straordinaria, anche se paradossalmente i profughi con la pelle nera che risiedevano in Ucraina come stranieri vengono più volte respinti ai confini polacchi. E la popolazione ucraina si spaventa, ma reagisce.

Qualcuno prova a reagire pacificamente, come i cittadini di Cherson che marciano con i fiori in mano incontro ai militari russi. Questi però alla prima provocazione (sembra che qualche anziano abbia fatto il gesto dell’ombrello) aprono il fuoco. “Questa è una vicenda che si è venuta a sapere molto dopo, grazie a un reporter ucraino che quel giorno scattò diverse foto ai feriti”, spiega Nello Scavo.

Da sinistra: Nello Scavo e Laurenzo Ticca

“A Mycolaiv però ho visto con i miei occhi i bombardamenti russi diretti su un’azienda che produceva infissi: allo scoppio della guerra il proprietario aveva deciso di regalare quelli già prodotti ai cittadini le cui case erano state bombardate. Nella stessa città è stato distrutto l’unico deposito di acqua potabile a cui i cittadini potevano attingere. A Odessa le bombe russe distruggono un centro in cui una ONG spagnola produceva pasti da inviare alle aree più isolate. Il fatto che siano stati colpiti questi tre obiettivi lancia un messaggio chiaro: i russi non vogliono lasciare civili nelle città, fare terra bruciata”.

Come documentare l’orrore

Nel documentare gli orrori della guerra spesso si pone il problema del rapporto con i lettori: “Quando da reporter descrivo le visioni dei cadaveri, delle donne stuprate, delle cose terribili che vedo, c’è sempre qualcuno che mi chiede le prove”, sottolinea Nello Scavo. “Ci sono foto che un giornale non può pubblicare per deontologia professionale, ma che bisogna consegnare direttamente ai tribunali dei processi per crimini di guerra. Il lettore deve affidarsi al giornalista sul campo, che vede le cose coi suoi occhi e le descrive. Credo ci sia un grave problema di fiducia nei media come mediatori affidabili. Però credo che le persone dovrebbero avere sempre in mente quello che diceva Robert Capa. Cioè che la posta in gioco per un corrispondente di guerra non è la notizia ma la sua stessa vita. Anche per questo bisogna avere rispetto per il nostro lavoro”.

Informazione manipolata e guerre dimenticate

In guerra, e non solo, le informazioni si prestano certamente a essere manipolate anche originando dei cortocircuiti. “Putin parla degli ucraini come nazisti da un lato, mentre dall’altro il patriarca russo Kirill definisce giusta – e anche ‘santa’ – la guerra contro l’Ucraina perché è una guerra contro la corruzione dei costumi rappresentata dal gay pride”. E sicuramente non si può dire che i nazisti vadano d’accordo con la comunità LGBTQ+.

Ma anche alle nostre latitudini si accusano i giornalisti di aver trascurato l’informazione sulla guerra in Donbass. Qualcuno dal pubblico interviene e lo ricorda. “E’ iniziata nel 2014 ed è stata considerata da molti media una guerra ‘a bassa intensità’. Intanto però sono morte 14mila persone”, sottolinea Nello Scavo. Le cause sono complesse, si intrecciano questioni geopolitiche su grande scala e spinte indipendentiste. “Non va dimenticato che nel Donbass il reddito medio è il 50% in meno rispetto a quello dei cittadini di Kiev”.

Quel che è certo è che nel mondo le guerre dimenticate dalla stampa italiana sono molte di più. Avvenire, il quotidiano per cui scrive Nello Scavo, è uno dei pochi giornali che cercano di documentarle: “Basta pensare che nel mondo si contano 100 milioni di profughi in fuga dalle guerre. Di questi gli ucraini sono 11 milioni. Tutti gli altri provengono dai tanti luoghi in cui infuria la “Terza guerra mondiale a pezzi”, come l’ha definita papa Francesco”.

Sicuramente seguire una guerra con un inviato sul campo per un giornale costa molto. “Se il mio giornale avesse mantenuto un corrispondente in Donbass in tutti questi anni, sobbarcandosi le spese, in quanti avrebbero poi comprato il giornale e letto i suoi articoli?”, chiede provocatoriamente Nello Scavo.

Insomma, la guerra in Ucraina porta alla luce tante contraddizioni. Non manca una battuta sulle armi: “In guerra a volte mi sento a casa: spesso mi capita di vedere il segno ‘made in Italy’ sulle bombe. Ora sembra che sul versante delle armi le sanzioni stiano funzionando: la Russia non riesce più ad assemblare armi a tecnologia avanzata perché non riceve la componentistica. Ma questo vuol dire che prima è stata anche l’Europa ad armare l’esercito russo”.

Briciole di speranza in mezzo alla guerra

Infine c’è spazio per una storia di speranza: “In realtà ne trovo molte, anche in guerra. Mi ha colpito per esempio la contadina ucraina che ha nascosto in casa un soldato russo. Non poteva consegnarlo agli Ucraini, perché l’avrebbero arrestato, né ai Russi, perché lo avrebbero condannato per diserzione. Ha deciso di tenerlo a casa sua, avvertendo la famiglia in Russia”.

Un’altra bella storia è quella dei trucchi del carnevale, a cui i bambini e le loro mamme non hanno rinunciato, neanche durante i bombardamenti. “Noi giornalisti abbiamo il dovere di custodire e raccontare anche queste storie”.

Il nostro dovere di lettori può essere allora quello di custodire lo sguardo, prezioso, di chi rischia la vita per raccontarcele.

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