di Luigi Losa
E venne il giorno di Trump. E anche quello di Obama. E soprattutto di un totale e sostanziale ribaltamento ‘politico’ nello Stato e nella democrazia più importante del mondo. Perché Obama e Trump comunque la si metta e la si pensi sono come il giorno e la notte, l’antitesi fatta persona.
Ora lasciamo da parte quel che il nuovo presidente degli Stati Uniti dirà nel suo discorso (scrivo volutamente prima di ascoltarlo e poi leggerlo) ma ancor più farà da domani, nei prossimi cento giorni piuttosto che nei suoi quattro anni di mandato.
Come è stato eletto lo sappiamo tutti, con quanta sorpresa e con quanto sostanziale appiattimento, adeguamento, sdraiamento, via via di un sempre maggior numero di commentatori, analisti, etc., etc., nel più classico dei classici ‘salti’ sul ‘carro del vincitore’ dall’8 novembre ad oggi.
Parallelamente abbiamo assistito alla demolizione sistematica del ‘mito’ Obama che pure se ne va con il più alto consenso tra i presidenti uscenti della storia americana.
Contraddizioni di un Paese che è tanto grande quanto non immune ed esente dalla ‘grande confusione sotto il cielo’ quella che faceva dire a quel furbone di Mao che ‘la situazione è eccellente’. Contraddizioni di un Paese che è oggi quanto mai diviso, spaccato, in modo quanto mai pericoloso e preoccupante a tutti i livelli e a tutte le latitudini.
Il sogno americano di Obama è svanito, prossimo alla cancellazione e questo vale non solo per l’America ma anche per quel pezzo di mondo, soprattutto occidentale, che pure si regge sui valori e principi della libertà, della uguaglianza, della fratellanza. Vocaboli che stanno via via scomparendo non solo dai discorsi, dai proclami, ma purtroppo dalle menti, dai cuori, dalle anime della gente, dei popoli, degli uomini e delle donne, dei giovani e degli anziani sempre più preda di quella famosa ‘pancia’ che pare voler e dover guidare il mondo prossimo venturo.
Per cui mi azzardo a dire che da domani non solo il mondo sarà un po’ più triste e difficile, e preoccupante, e orfano, ma che proprio da domani di Obama incominceremo a sentire la mancanza, sperando che non si trasformi in assenza.
Non si tratta di santificare subito, chè sta diventanto ormai una moda anche questa, un presidente che di sicuro ha commesso un sacco di errori e tradito tante promesse, che peraltro è stato lui stesso ad ammettere e confessare ben prima della fine del suo mandato, per chi solo è un pochino attento a quel che si scrive nel mondo e che ha ancora il gusto, la passione, il dovere di cercare comunque la verità.
Ma è fuor di dubbio che quando Obama, primo presidente di colore degli States, ha fatto irruzione con il suo “Yes, we can” sulla scena mondiale la speranza è tornata ad essere presente nel mondo e in particolare tra gli uomini e le donne che ne hanno a cuore le sorti per sé e per le proprie future generazioni in luogo di un egoismo e di un individualismo che alla faccia dei social media stanno condannando pezzi di umanità alla solitudine, alla rabbia, alla disperazione, alla sfiducia in tutto e verso tutti.
Nei giorni scorsi è stato pubblicato e diffuso un volume con alcuni dei discorsi pronunciati da Obama in otto anni di presidenza: un segno che le sue parole al di là dei fatti che ne sono seguiti hanno avuto ed hanno ed avranno senso, valore e peso.
Paradossalmente rispetto all’importanza del momento storico e della circostanza, il primo discorso del volume è quello inaugurale della sua prima presidenza, il 20 gennaio 2009, e queste furono le sue prime parole rivolte all’America e al mondo: “Concittadini, oggi sono qui, umile di fronte al compito che ci attende, riconoscente per la fiducia che avete risposto in me, consapevole dei sacrifici sostenuti dai nostri antenati”.
Sono parole che vorremmo sempre sentire da chiunque venga chiamato a ricoprire una qualsiasi responsabilità, in ogni angolo del pianeta, e che, ahimè, non solo non udiremo ma addirittura vedremo liquidate come la dimostrazione della debolezza di un uomo che ha sostanzialmente fallito il suo compito. E che invece ha cercato in un’epoca da terza guerra mondiale ‘a pezzi’ di rimettere al centro di ogni problema, questione, situazione il rispetto per l’uomo e per la sua dignità.