di Luigi Picheca
Correvano i primi anni 90 quando la sfida velica di Coppa America ha contagiato tutti noi italiani. Dopo l’inaugurazione delle sfide di quella categoria di imbarcazioni lanciate prima da Azzurra e poi da Italia, sembrava arrivare la sfida vincente portata con onore da “il Moro di Venezia”. La magnifica imbarcazione di Raul Gardini, appoggiata e sponsorizzata da Montedison aveva compiuto una spettacolare evoluzioni coi modelli precedenti e il Moro di Venezia varato nel 91 raccoglieva la loro eredità tecnologica e di esperienza per gli equipaggi che si erano avvicendati al timone.
Nel gennaio del ’92 le splendide vele de “il Moro di Venezia” acquisirono il diritto di competere nella Louis Vuitton Cup.
L’inizio brillante delle regate vide accrescersi febbrilmente in tutti la passione per quello sport elitario e si cominciò a diffondere il linguaggio marinaresco proprio delle regate.
Non è stato semplice per noi novelli spettatori di gare di vela comprendere le regole e i nomi delle vele che venivano via via armate e tese come il timoniere Paul Cayard chiedeva ma lentamente ci si fece l’abitudine. Al lavoro e nei bar si parlava spesso di regate e la caratteristica che accomunava noi tifosi neofiti era l’aria stanca e gli occhi gonfi per gli orari che queste sfide ci imponevano. Le regate erano lunghe e le notti troppo brevi per recuperare le nostre energie ma era bello vivere quel mondo affascinante, un mondo da miliardari. Era un po come inserirsi abusivamente in una Hollywood splendente e ricca di stelle, un mondo da sogno.
Anche quando le regate procedevano lente e noiose si aspettava il colpo di genio dei timonieri o dei tattici di bordo che a volte annusavano la rotta migliore per catturare qualche refolo di vento e trarne vantaggio. Timonieri e tattici erano tutti vecchi volponi ma la fortuna non sempre li premiava, premiava per contro noi assidui telespettatori che, tra un caffè e l’altro, assistevamo al colpo di scena alla Hitchcock e finalmente a letto.
Il Moro inanellò un’invidiabile serie di successi meritandosi la finale in cui si scontrarono con gli statunitensi dell’imbarcazione America e furono sconfitti ingaggiando buone regate.
Raul Gardini non ricevette gli onori del pubblico a lungo ma cadde solo l’anno successivo tra le maglie della rete investigativa del processo di “Mani pulite” e si suicidò nella sua residenza milanese di Palazzo Belgioioso lasciando dietro di sé molte ombre e molti segreti sui suoi investimenti nel Gruppo Ferruzzi e nella vendita dell’ENI in particolare. Ombre che macchiarono indelebilmente il suo nome, ricondotto poi a strane manovre di tangenti, potere politico e mafia.
Luigi Picheca