Sotto gli occhi commossi del suo inventore Louis Glass e del socio William S. Arnold della Pacific Phonograph Company, il primo esemplare di jukebox fa il suo esordio al Palais Royale Saloon di San Francisco la sera del 23 novembre del 1889.
Louis Glass con questa invenzione diede il via all’industria musicale e il suo fu un successo strepitoso, anche a motivo del fatto che non esisteva ancora la radio che arriverà alla fine del secolo.
In verità il jukebox di allora assomigliava molto poco a quello che conosciamo oggi e non era altro che un fonografo, invenzione di Thomas Edison del 1877 che serviva a registrare e riprodurre il suono, a cui erano agganciati quattro tubi simili a stetoscopi che, accostati all’orecchio, consentivano di ascoltare la musica. Il tutto inserito in un apposito armadio di legno di quercia. Bastava un nichelino, il corrispettivo di un euro circa di oggi, per ascoltare una canzone.
A quel tempo non si chiamava nemmeno così, ma “nickel-in-the-slot player” che tradotto suona come “lettore musicale con monetina-in-fessura”. Il nome jukebox arriva negli anni ’30, quando inizia ad essere introdotto nei bar in cui si balla (juke-joint), ma qualcuno lo associa anche a “juke house” con riferimento alle case di tolleranza, luoghi in cui la musica non era sconosciuta.
Bisogna aspettare il 1948 prima di vedere un modello in grado di contenere fino a 100 dischi.
I nuovi modelli sono dotati di due ripiani: quello superiore è provvisto di una grossa lastra di vetro o plexiglas che mostra il meccanismo interno di selezione dei dischi e giradischi, mentre in quello inferiore c’è la cassaforte e il sistema elettronico di selezione.
Ma è solo negli anni ’50 che il jukebox diventa il vero simbolo di un epoca, punto di riferimento e modo di ritrovarsi di tanti giovani che, intorno a quel cassone, trascorrevano le domeniche ad ascoltare musica. Chi ha qualche anno ricorda sicuramente Fonzie negli episodi di Happy Days quando assestava un pugno al jukebox per farlo partire senza monetina.
Da noi il gettone costava cento lire e con quello si ascoltavano tre canzoni . Persino il “molleggiato” dedicò al jukebox una canzone che in una strofa diceva “La felicità costa un gettone per i ragazzi del juke box…”. A quei tempi la felicità era veramente a buon mercato
Oggi, centoventicinque anni dopo il suo debutto, è diventato un costoso oggetto vintage da collezione, qualche patito farebbe carte false per averne uno da mettere in salotto.
Daniela Zanuso