di Marco Riboldi
Ricorre quest’anno il 120° anniversario della uccisione di re Umberto I, avvenuta a Monza, il 29 luglio del 1900.
A compiere l’attentato fu un anarchico toscano, Gaetano Bresci: raccontiamo un po’ la storia del fatto e dei personaggi.
L’Italia del tempo era governata da uomini della Destra che avevano connotato l’azione di governo in modo piuttosto autoritario, credendo di rispondere in questo modo ai nascenti movimenti operai e socialisti, che andavano guadagnando terreno a causa delle pessime condizioni di vita e di lavoro di tanti italiani.
Il sentimento patrio, che pure ancora era forte, sull’onda di un Risorgimento storicamente vicino, si infrangeva sulle difficili condizioni economiche e sulla diffusa mancanza di prospettive delle masse proletarie, che trovavano spesso nella massiccia emigrazione uno sfogo alla loro situazione.
In questi anni quindi un malessere diffuso faceva da terreno di coltura alle ideologie socialiste ed anarchiche, che si diffondevano tra molti proletari italiani.
Lo Stato vedeva sorgere leghe e sindacati, partiti e movimenti che spesso organizzavano scioperi e manifestazioni, cui si rispondeva con repressioni e in genere con provvedimenti preoccupati solo del mantenimento dell’ordine pubblico.
Nel 1898 una rivolta scoppiata a Milano contro il carovita venne brutalmente repressa nel sangue dal generale Bava Beccaris, che usò le armi pesanti contro i manifestanti, uccidendo un numero imprecisato di civili (80 nel computo ufficiale, in realtà probabilmente due o tre volte tanti).
Lo sdegno per questo fatto di sangue fu enorme.
Una celebre canzone popolare parlava del “feroce monarchico Bava” e della “ sabauda marmaglia” sul cui sangue sarebbe ricaduto il sangue versato dai ribelli.( se ne trova in rete anche una versione cantata da De Gregori).
Il sovrano italiano era Umberto I, che aveva conquistato una certa popolarità sia con il suo passato di coraggioso militare (nelle guerre risorgimentali si era impegnato in prima persona in più di una occasione), sia con il suo pronto e personale soccorso al popolo napoletano in occasione di una epidemia di colera (intervento che gli era valso l’appellativo popolare di “Re buono”).
Anche la consorte, la celebre regina Margherita, era riuscita a conquistare una buona fama e una buona popolarità.
Questo sovrano, con infausta decisione, decise di decorare il generale Bava Beccaris con un’alta onorificenza, in premio al suo operato a salvaguardia dell’ordine pubblico: questo gesto lo fece immediatamente finire nel mirino soprattutto degli anarchici.
Chi erano costoro? Il movimento anarchico italiano, sulla scia di alcuni interessanti personaggi quali Errico Malatesta e Andrea Costa, si era velocemente consolidato come una originale e vivace presenza tra il proletariato italiano. In linea di massima, si sa, gli anarchici rifiutavano una precisa organizzazione politica, affidandosi ad una spontaneità che in alcuni diventava esaltazione del gesto individuale, rivendicazione di giustizia contro le disuguaglianze e lo sfruttamento. Così ecco i gesti esemplari di Ravachol (bombe contro magistrati e caserme) o di Lucheni (che uccide la imperatrice d’Austria Elisabetta , la celebre “Sissi”), ecco gli attentati (ben tre) contro il re Umberto.
Gaetano Bresci era un giovane di Prato, emigrato come molti altri suoi compatrioti negli USA, dove un operaio tessile specializzato trovava facilmente un buon lavoro presso le industrie della costa orientale.
Approdò nella città di Paterson, nel New Jersey, dove c’erano moltissimi italiani, i quali si ritrovavano in gran numero in vari circoli anarchici locali e soprattutto presso un albergo, il “Bertoldi’s Hotel”, per interminabili discussioni di politica, per conferenze con ospiti spesso venuti appositamente dall’Italia, per leggere e commentare giornali e opuscoli, molti dei quali pubblicati da una piccola casa editrice locale, di cui gran parte degli italiani erano azionisti, avendo versato una piccola quota per dar vita alle iniziative di stampa. Come si vede, una presenza vivace, decisamente più colta di quanto ci si potrebbe aspettare da una società operaia di fine ‘800 e così importante politicamente che spesso personaggi di spessore come i citati Costa e Malatesta e altri viaggiavano sino alla costa est degli USA per conferenze, dibattiti e propaganda.
Giovane, elegante, evidentemente piacente (non ebbe mai difficoltà a procurarsi compagnia femminile ed ebbe figli da donne diverse), Bresci nell’estate del 1900 tornò in Italia, dopo una breve sosta a Parigi per visitare l’Expo, e rimase per un po’ di tempo presso la famiglia di Prato, per poi spostarsi avendo come meta finale Monza.
Alloggiò per qualche giorno in una pensione della centrale via Cairoli, frequentò un caffè del centro dove si fece notare come consumatore di gelati (particolare che aiuterà la negoziante a ricordarsi di lui nella testimonianza processuale) ed infine si mescolò alla folla che assisteva ad una gara di ginnastica.
A questa gara era noto che avrebbe assistito anche il sovrano, il quale amava molto trascorrere i mesi estivi presso la Villa Reale, dove godeva del parco, dei piaceri della caccia e dei favori della sua amante “storica”, la contessa Litta, che aveva una villa vicina (ancora esistente e di proprietà privata).
Quando il re, terminata la cerimonia di premiazione degli atleti, salì sulla carrozza per tornare al palazzo reale, Bresci esplose alcuni colpi con la rivoltella che si era portato dall’America e con la quale si esercitava regolarmente, colpendo il sovrano in modo letale.
Venne subito arrestato e condotto in carcere.
Il processo vide Bresci rivendicare con grande tranquillità il suo gesto, affermando di avere agito da solo, senza alcun aiuto: e nonostante molti arresti di anarchici e di conoscenti di Bresci, alle fine non si ebbero prove concrete di un complotto.
Condannato all’ergastolo, finì i suoi giorni suicida nel penitenziario di S. Stefano: come per tutti i suicidi del genere nacquero mille sospetti, ma poi il tutto finì in un nulla di fatto.
L’Italia eresse a ricordo del sovrano la “Cappella espiatoria”, un pregevole monumento che si può visitare a Monza in via Matteo da Campione, nel luogo esatto del regicidio.
Si racconta che un sindaco socialista di Monza, Ezio Riboldi, alcuni anni dopo, abbia accompagnato sul luogo un dirigente del Partito socialista del tempo e che questi abbia scritto sul cancello della Cappella “monumento a Bresci”: il dirigente faceva di nome Benito Mussolini, nella sua fase socialista.
Il nome di Bresci restò nella galleria mitologica dell’anarchismo come il vendicatore dei morti del 1898, e ancora oggi le pubblicazioni anarchiche non mancano di celebrarne le gesta, pur contestualizzandole.
Uno degli ultimi episodi è l’erezione di un monumento alla sua memoria, realizzato nel comune italiano dove più forte rimane la fedeltà agli ideali anarchici, Carrara.
In questa città, celebre in tutto il mondo per i suoi marmi, i gruppi anarchici un tempo erano numerosi e capaci di grande attività politica e sindacale soprattutto tra i lavoratori delle cave (tra i primi a ottenere notevoli diritti soprattutto in tema di orari e organizzazione del lavoro, grazie a un celebre sindacalista di nome Meschi).
Ancora oggi, pur ridotti di numero, vedono la piazza principale della città sovrastata da una grande insegna “Federazione Anarchica Italiana”, sita su un palazzo storico ormai in disuso e hanno trovato modo di erigere un monumento a Bresci nel giardino pubblico vicino ad uno dei cimiteri cittadini, quello di Turigliano.
Lo stesso cimitero ospita l’ultimo riposo di Giuseppe “Pino” Pinelli (l’anarchico milanese, ingiustamente coinvolto nelle inchieste sulla strage di Piazza Fontana, volle essere sepolto a Carrara), in uno spazio dedicato alle tombe dei seguaci del romantico ideale che animò tanti cuori generosi e purtroppo armò le mani di alcuni “rivoluzionari individualisti”.
“ E’ morto Umberto Primo, quel malfattore.
Viva Gaetano Bresci, vendicatore
pria di morir sul fango della via,
imiteremo Bresci e Ravachol;
chi stende a te la mano, o borghesia,
è uomo indegno di guardare il sol”
( Canzone di Bresci – di anonimo)
P.S. Per chi volesse leggere una godibile ricerca su Bresci e il regicidio, rinvio al testo di Arrigo Petacco, (“L’anarchico che venne dall’America”, ed. Mondadori, da cui ho tratto gran parte delle informazioni. Anche se un po’ datato, è decisamente ben documentato, pur inducendo al fascino della tesi del complotto (che però anche da questo libro appare debole) e ricco di testimonianze d’epoca.