di Isabella Procaccini
“I bambini si divertono molto, si divertono perché il linguaggio li fa divertire. Però ci fanno anche tante domande… ad esempio sul fatto di quanto sia bello che ognuno possa scegliere di andare a fare una cosa completamente diversa da quella che fa il papà”.
I vestiti nuovi dell’imperatore sarà in scena presso il Teatro Manzoni di Monza domenica 21 febbraio alle 16.00, per l’occasione abbiamo intervistato Alessandro Larocca, regista e attore dello spettacolo.
Ho letto che si tratta di uno spettacolo di mimo e clownerie… cosa vedremo in scena? Raccontami un po’ che cos’è I vestiti nuovi dell’imperatore…
Non si tratta prettamente di mimo e clownerie. Diciamo che dentro c’è un sapore clownesco che fa parte del nostro patrimonio teatrale. Noi siamo nati e cresciuti nella compagnia milanese di Quelli di Grock e dopo trent’anni abbiamo deciso di scinderci come coppia comica e abbiamo formato questa nuova compagnia nostra, I fratelli caproni. Quindi nel nostro DNA, nel nostro linguaggio teatrale c’è il clown, c’è il mimo, c’è il lavoro sul corpo. C’è tutto ciò che ha contraddistinto e contraddistingue ancora oggi Quelli di Grock, cioè la prima compagnia di mimi a entrare in un teatro a Milano e continuare a ricercare su quel tipo di percorso e di linguaggio teatrale. Noi abbiamo dentro questo patrimonio, non riusciamo a eliminarlo e continuiamo a proporlo. Quindi, anche in una fiaba così classica come questa di Andersen, abbiamo sicuramente inserito questo sapore. La storia racconta di due maggiordomi molto clown e molto divertenti che assistono e coccolano il figlio dell’imperatore, una figura che abbiamo inventato discostandoci dal testo originale che vede protagonista l’imperatore stesso. Questi due uomini fanno da balia e crescono questo ragazzo in uno spettacolo dove è presente sia il testo e sia questo gusto clownesco e divertente che da sempre fa parte della nostra tradizione.
Non è uno spettacolo completamente muto, di mimo, c’è proprio il testo, la fiaba viene evocata e percorsa. L’abbiamo vista e riscritta a nostro modo, mettendoci il sapore clownesco del nostro linguaggio teatrale. Tant’è vero che lo spettacolo è ambientato in un piccolo circo e il figlio dell’imperatore sogna e ambisce a tutto nella vita fuorché seguire le orme del padre. È norma consueta che chi è figlio di un imperatore, di un regnante è destinato a diventare quello per forza; invece in questo caso, questo figlio vuole fare di tutto tranne che l’imperatore. Tutto ciò porta forte scompiglio nel regno: il padre è morto e tutto ciò che voleva era che il figlio prendesse il testimone e portasse avanti l’impero seguendo il suo esempio. La sua morte diventa invece proprio il momento in cui il figlio inizia a esprimere la sua vera natura, sterza completamente, si disinteressa al regno, non bada alle guardie, non fa pagare le tasse, si preoccupa soltanto di vestirsi di tutto punto, in modo elegante e alla moda.
Nella sua mente è tutto chiaro, sa che andrà a fare qualsiasi cosa, il lattaio, il fornaio, l’imbianchino, ma vuole essere libero di avere una vita migliore, più felice. I due maggiordomi, però, legati al vecchio re non ci stanno e escogitano un piano per raddrizzare il ragazzo e riportarlo sulla retta via: si travestono da due grandi sarti e gli fanno credere che confezioneranno per lui un abito speciale, unico al mondo, talmente bello da essere fatto di una stoffa invisibile. La fiaba di Andersen si conclude con l’uscita in pubblico dell’imperatore completamente nudo, nessuno ha il coraggio di urlare la verità. Soltanto un bambino esce dalla folla e dice: ”Ma il re è nudo!”. La voce dell’innocenza! Noi abbiamo scelto di discostarci un po’ dalla fiaba di Andersen e abbiamo creato un finale diverso facendo coincidere il personaggio del bambino con l’interiorità stessa del figlio dell’imperatore, quella voce dell’onesta, quella parte infantile che gli permette di capire da solo di non avere addosso nessun magnifico abito e di essere effettivamente completamente nudo e libero di andarsene per fare quello che realmente vuole fare nella propria vita.
Quindi il messaggio che questa fiaba vuole dare ai bambini è proprio questo? Quello di spronarli a prendere la propria strada?
Certo, a seguire la propria strada e a non sentirsi condizionati dalle aspettative dei genitori. È giusto che ognuno lasci sfogo alla propria scelta di vita, o che ci provi almeno da solo, senza che venga incanalato, indirizzato, forzato. C’è sicuramente questo messaggio e poi c’è anche la volontà di mettere in luce che le generazioni giustamente cambiano e giustamente apportano novità. Non per forza se le cose erano fatte in un certo modo, i figli non possono cambiarle e trasformarle, perché è giusto volerci mettere del proprio nelle cose che si ereditano. È un po’ come prendere un testimone, è ovvio che tu lo debba prendere in mano, ma è anche ovvio che tu ci debba mettere del tuo, se no non avrebbe senso. Un po’ come lavorare sulle grandi gag… oggi nessuno si inventa niente, si lavora su repertori vecchi, si prendono in mano testimonianze che grandi personaggi hanno fatto cent’anni prima di noi e noi ci mettiamo del nostro. Perché nessuno inventa nulla, hanno già inventato tutto e quindi quello che resta da fare e dire: “Va bene, prendo una gag storica e ci metto qualcosa di nuovo!”. È un messaggio importante, questo, sia nella vita, che nel mestiere di attore. Questo figlio di imperatore, stufo e stanco di vivere in quel modo, di dover dimostrare a questo padre severo, austero che lui deve diventare così. Invece lui è un ragazzo che vuole giocare, è affascinato dal circo, da altre cose ed è giusto che dia sfogo alla proprie passioni.
Qual è la reazione dei bambini di fronte a questo spettacolo?
I bambini si divertono molto, si divertono perché il linguaggio li fa divertire. Però ci fanno anche tante domande… ad esempio sul fatto di quanto sia bello che ognuno possa scegliere di andare a fare una cosa completamente diversa da quella che fa il papà. Insomma, questa cosa qui un po’ li fa riflettere, li fa pensare perché il finale è molto liberatorio e aperto. Questo figlio che se ne va e non sa neanche cosa andrà a fare, ma l’importante è che sicuramente non farà parte di quel gioco, di quel regno, di quelle cose con quelle regole che non fanno parte di lui. È una grande liberazione, è una rivoluzione e i ragazzi vengono toccati molto da questa scelta.
Tanti ci chiedono: “Ma dove va? Cosa farà?”. Io rispondo che non lo so, ma sicuramente andrà in un posto dove potrà sentirsi libero e felice. Per i ragazzi è importante sapere che devono poter scegliere la strada giusta per loro, ci deve essere passione in quello che andranno a fare perché se c’è la passione le cose pesano molto meno. Un po’ come il mio lavoro… Non lo potrei mai fare se non avessi così tanta passione perché è molto faticoso… e si guadagna poco! Penso che ognuno debba fare la propria parte nel mondo, ma debba farla bene. Perché se ognuno di noi facesse la propria parte e la facesse bene, con convinzione e con passione, forse il mondo sarebbe più sereno. La passione fa scavalcare i problemi, fa scavalcare le fatiche, è importante!
Perché hai scelto di intraprendere questo percorso di teatro ragazzi? Preferisci parlare ai giovani?
No, beh dopo trentacinque anni di lavoro ho fatto di tutto! Dal teatro serale al teatro ragazzi… Il teatro ragazzi non l’ho mai abbandonato perché mi dà più da mangiare, riesco a lavorare di più e poi sì, mi piace coltivare questo giardino verde che sarà poi il bosco di un domani. Mi interessa lavorare con i ragazzi perché vuol dire dargli una formazione, farli riflettere con il poco che possiamo fare noi attori. Lo spettacolo è limitato a un’ora di lavoro, però se quell’ora lascia qualcosa, magari qualcuno rimane colpito, magari rimane qualche emozione dentro, allora il nostro compito è stato svolto con successo. Perché noi comunque siamo portatori di comunicazione. Io mi limito a fare questo, lo faccio volentieri per i ragazzi e lo faccio altrettanto volentieri per gli adulti. Andiamo avanti! Ormai non possiamo più tirarci indietro. Dobbiamo andare avanti, anche se con fatica. I soldi sono pochi e i mezzi sono quelli che sono, però è giusto e doveroso continuare a fare cultura. Perché c’è bisogno di cultura… fa bene a tutto! Fa bene all’anima, fa bene alla mente, fa bene ai cuori, fa bene ridere… abbiamo bisogno assolutamente di tutto questo!
Alessandro sceglie di raccontare un aneddoto sfortunato:
Ci hanno rubato il furgone dieci giorni fa e ora non abbiamo più niente, non abbiamo più la scenografia de I vestiti nuovi dell’imperatore. Ho passato una settimana a costruire, a fare il falegname, a decorare, a dipingere, a cercare di salvare (perché chiaramente abbiamo perso delle repliche) la tournée. Però abbiamo detto: “No, per Monza dobbiamo farcela! Dobbiamo avere, se non il 100% della scenografia, almeno il 99%!”. E per domenica avremo il 99%! Stanno rifacendo i costumi e stanno lavorando giorno e notte. Abbiamo cercato assolutamente di salvare questa cosa perché potesse andare avanti, perché se no moriamo anche noi! Ci hanno portato via la vita, le attrezzature, i costumi, i trucchi, gli oggetti cari che ci portavamo dietro dal primo giorno in cui abbiamo messo piede su un palcoscenico, trentacinque anni fa.
Siamo stati per un attimo in ginocchio, a terra, però ci dovevamo rialzare. Quando si cade bisogna assolutamente rialzarsi e cercare di non cadere più, rieducarsi a non cascare più. Quindi noi a Monza ci saremo, lo spettacolo ci sarà perché per noi Monza sarà come la resurrezione, una rinascita! Veniamo a Monza proprio per rinascere perché ci hanno rubato tutto, ma noi siamo duri a morire, ci siamo rialzati e siamo ancora in scena per noi stessi e per il nostro pubblico. Per noi è un appuntamento con un grosso significato!