Intervista a Ciriaca + Erre, l’artista dei dimenticati

di Daniela Annaro

Difficile dimenticarne il nome. Difficile dimenticare i suoi lavori. CIRIACA+ERRE è un’artista che si ricorda per le sue opere performative.

Come nel novembre scorso, nel 2013, alla Permanente di  Milano, quando si è letteralmente disfatta, “spogliata” di tutti i suoi beni materiali per regalarli, “per donare sé”, al pubblico di visitatori della sua mostra. VEDI LINK – http://www.ciriacaerre.com/ita/web/item.asp?nav=812  I’m Free


O, quando, realizza opere per ricordare torture e supplizi patiti dai monaci tibetani.  Ciriaca è nata a Matera, ha studiato a Firenze, vive ora a Lugano.  La sua arte è parte di quel mondo  che si occupa dei “dimenticati”, di quelli che non hanno privilegi, di quelli che conoscono il dolore. L’avevamo conosciuta a Venezia, al Padiglione Tibet dell’ultima Biennale d’arte. Un obbiettivo  ragguardevole per una giovane  artista, ma prima ancora CIRIACA+ ERRE aveva esposto le sue opere a fianco di altre firmate da MARINA ABRAMOVIC, NAM JUNE PAIK, JAN FABRE, SHILPA GUPTA. http://www.ciriacaerre.com/ita/web/item.asp?nav=500
http://www.ciriacaerre.com/ita/web/item.asp?nav=828

ciriaca+erre-1_webEra già stata invitata da importanti musei pubblici di ROMA, NEW YORK, LOS ANGELES, MILANO.  Aveva ricevuto riconoscimenti e premi come  il 3° PREMIO TERNA per il suo lavoro “Changing is Natural“. E, ora, “Epoché – Sospensione del Giudizio -“  così si intitola l’opera  realizzata in collaborazione con il carcere di Bollate, (Milano). 

Nel LINK un estratto.

http://www.ciriacaerre.com/ita/web/item.asp?nav=823

Ecco come ha risposto alle nostre domande.  Intervista di Daniela Annaro

Come è nata la tua opera, “Epochè – Sospensione del Giudizio”, il tuo ultimo lavoro  sul carcere di Bollate? Qual è stata la genesi?

Con le mie opere cerco sempre di mettere in discussione, in dubbio, quanto  diamo per certo. Faccio questo chiedendolo prima di tutto a me stessa. In questo caso volevo poter “sospendere il giudizio” nel pormi davanti ai detenuti e nel contempo sottolineare quanto ci sia una distorsione delle informazioni che ci allontanano dalla comprensione di quanto percepiamo e dalla verità. Erano già due anni che aspettavo i permessi per poter girare nel carcere e sono arrivati quando era giusto che arrivassero (naturalmente non senza un’ulteriore richiesta): in contemporanea con i monaci Buddisti. Così l’opera è diventata quello che doveva essere. Io credo che il caso non esista e che tutto ha un senso ed è collegato.
Ed è questo che emerge dall’opera stessa, che unisce due realtà apparentemente così distanti, un carcere italiano e i monaci buddisti, Tutto è Uno, niente esiste in maniera indipendente.

Il tuo impegno su diritti umani è parte integrante del tuo essere artista. Una scelta lontana dal mercato e dalle mode che caratterizzano il mondo della pittura e della scultura,  a tuo parere quale ruolo deve ricoprire un artista nella nostra società?

Essere un’artista non è una scelta quanto una vocazione. Non si può “fare l’artista” semplicemente “non si può fare a meno di esserlo”. L’artista ha delle responsabilità e porta avanti anni di ricerche le quali non producono capitale materiale ma producono capitale intellettuale. L’artista ha sicuramente delle visioni che lo portano a guardare oltre il proprio tempo, e questo succedeva da Michelangelo, a Caravaggio a Picasso. Per far questo bisogna rimanere centrati, mantenere un’anima sveglia, sincera, vera e lontana dal consumismo, dal quotidiano, dalle false verità in cui la maggior parte degli uomini viene risucchiata, altrimenti perdiamo il nostro dono, o perlomeno quello che ora riesco a vedere come un dono e prima vedevo come una condanna.

L’arte, soprattutto quella Contemporanea, è molto lontana dal grande pubblico, spesso si manifesta in modo ostile e saccente. Quanto è importante “raggiungere” quelli che ammirano le tue opere? L’arte è anche comunicazione?

L’arte è comunicazione a un livello di consapevolezza più profonda. Un’opera d’arte non può essere ostile, direi piuttosto che a volte ci scuote. Un’opera d’arte può definirsi tale quando non ha bisogno di troppe spiegazioni per essere compresa. Sicuramente alcune opere ci parlano e ci emozionano di più dopo un determinato percorso nella nostra vita. Mi piace dire che l’Opera d’Arte arriva o riusciamo a vederla quando noi siamo pronti a comprenderla, come alcuni libri o persone che possiamo accogliere solo in determinati momenti della nostra vita, ci arriviamo tramite un percorso e se ci incappiamo prima semplicemente non fanno vibrare le stesse corde, non ci toccano alla stesso modo.

Daniela Annaro

http://www.ciriacaerre.com/ita/web/item.asp?nav=1

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