di Carlo Rolle
Buongiorno, amici. In questa serie dedicata alla “Biblioteca” Adelphi, non potevo esimermi dal parlare del primo volume della collana, uscito nel 1965: “L’altra parte”, di Alfred Kubin. È un libro del 1907, appartenente al genere della letteratura fantastica, che ebbe uno sviluppo enorme nel corso del XX secolo.
“L’altra parte” fu l’unico romanzo di Kubin (1877-1959), disegnatore, pittore e incisore di soggetti di carattere fantastico, esponente del Simbolismo e dell’Espressionismo. Esso costituisce un esempio di quelli che Roberto Bazlen, uno degli ideatori della linea editoriale di Adelphi, chiamava “i libri unici”, categoria che contraddistinse i primi anni delle edizioni Adelphi. Bazlen intendeva riferirsi a libri che, per qualche ragione, corrispondono ad un fatto o ad una forma unica nella vita di uno scrittore, e che nacquero da un’esperienza particolarmente intensa e incancellabile.
Vita tormentata di Alfred Kubin
Alfred Kubin era nato in una cittadina della Boemia, allora appartenente all’Impero austro-ungarico. Ebbe un’infanzia difficile, rattristata dalla morte della madre e da un padre duro e anaffettivo. Ebbe problemi scolastici e difficoltà a socializzare; riversò nei suoi cupi disegni con inchiostro di china il dolore e le frustrazioni della sua giovinezza. Dopo un fallito apprendistato come fotografo, si arruolò nell’esercito, ma ebbe subito un esaurimento nervoso seguito da lungo ricovero in ospedale.
A quel punto il padre lo mandò a studiare arte a Monaco e qui Alfred poté dedicarsi finalmente ai propri disegni di carattere fantastico. Gli ci vollero alcuni anni per trovare estimatori della sua arte, anni costellati da episodi dolorosi: tra cui alcune crisi depressive e la morte della prima fidanzata. Nel 1904 Alfred Kubin si sposò e si trasferì con la moglie in un piccolo castello a Zwickledt, una località isolata dell’Alta Austria, dove visse da allora in poi.
Il successo artistico lo riavvicinò al padre, ma nel 1907 questi morì e Alfred ebbe una nuova crisi depressiva, seguita da un periodo di sterilità creativa. Sentiva però il bisogno di dare uno sbocco alla propria creatività, che in quel momento non riusciva ad esprimere nel disegno. Allora riversò in questo libro la propria tumultuosa immaginazione, in una sorta di allucinazione durata tre mesi, quasi come un sonnambulo.
Nei cinquant’anni successivi Kubin non scrisse altri romanzi o racconti. Egli indirizzò la propria creatività nella sua attività di illustratore. Il libro narra una vicenda che si svolge su uno sfondo cupo ed inquietante. Bazlen diceva che “L’altra parte” era “il più bel Kafka prima di Kafka”.
Partenza per un paese misterioso
Il libro è diviso in 5 parti. Nella prima, intitolata “L’invito”, il protagonista narra di aver ricevuto la visita di agente, che lo ha contattato su istruzioni di un antico compagno di scuola, certo Claus Patera. Costui, divenuto ricchissimo, ha acquistato grandi territori in una zona remota dell’Asia Centrale e vi ha fondato uno stato, il Regno del Sogno. Si tratta di quello che oggi verrebbe definito uno “stato eremita”, isolato dal resto del mondo. Il protagonista viene invitato a recarvisi in cambio di un’ingente somma di denaro.
Così, dopo un lungo viaggio, il protagonista del romanzo giunge con la moglie nella capitale del nuovo stato. Essa viene descritta nella seconda parte del romanzo, che si chiama “Perla”: questo è il nome della capitale.
La capitale di un regno fuori dal tempo
Questa città è stata interamente edificata con vecchi edifici, smontati e trasportati fin lì dall’Europa. Soltanto oggetti usati possono essere importati nel Regno del Sogno, quelli nuovi sono vietati e vengono confiscati alla frontiera. Anche gli abitanti, che sono stati ammessi in base a certi criteri non conosciuti, hanno un aspetto antiquato e sembrano privi di ogni senso pratico. Il protagonista si rende conto di essere giunto in un paese stranissimo, che vive in un mondo fuori dal tempo.
Per giorni egli si aggira per la città scoprendone i quartieri, gli edifici e i sobborghi, che il lettore è aiutato ad immaginare grazie ad una cartina topografica e alle numerose illustrazioni di Kubin. Questa ricostruzione anche iconografica ha un carattere allucinatorio: i vagabondaggi del protagonista sono narrati quasi come se fossero esperienze oniriche, durante le quali avvengono fatti innaturali ed incomprensibili e si incontrano personaggi inquietanti e grotteschi.
Ben presto la moglie del protagonista soccombe ad una misteriosa malattia (pochi anni prima Kubin aveva perso la sua fidanzata per un’improvvisa febbre tifoidea) ed egli si trova completamente solo, in un mondo che funziona secondo leggi segrete ed incomprensibili. L’amico che lo aveva invitato lì, il monarca del Regno del Sogno, Claus Patera si rivela una figura remota ed inavvicinabile. Egli è una sorta di mago che tiene l’intera città sotto il suo incantesimo, isolata e come immune dal tempo.
Un’atmosfera allucinata e crudele
Nelle fantasticherie di questo libro sembrano riflettersi certi caratteri del mondo austro-ungarico, anch’esso percepito come anacronistico e stagnante, ipnotizzato da elaborati cerimoniali guidati dall’anziano imperatore Francesco Giuseppe. Quanto al clima allucinatorio delle vicende, forse esso risente delle esperienze da incubo avute in gioventù dall’autore. Kubin aveva vissuto situazioni traumatiche e crudeli nella propria famiglia d’origine e si era poi trovato emarginato nella scuola, nel tirocinio lavorativo e nella vita militare.
Con tutto ciò, non ci troviamo qui in una sorta di romanzo horror ante litteram. Una vena beffarda percorre il libro, e si accentua nelle descrizioni allucinate della capitale. In esse trovo effettivamente un presagio di certe storie di Kafka, nelle quali l’atmosfera da incubo coesiste con scene grottesche e concitate, in cui affiora un singolarissimo umorismo, come avviene per esempio ne “La metamorfosi”.
Il crollo del Regno del Sogno
Nella terza parte del romanzo, intitolata “Il crollo del Regno del Sogno”, l’immaginazione di Kubin non conosce più freni. Una serie di fenomeni sempre più strani ed inspiegabili si susseguono nella capitale. In città giunge un ricchissimo industriale americano dall’ego smisurato, che fomenta una rivolta e incita i cittadini a ribellarsi con il suo giornale ed un infuocato manifesto politico. Mi pare quasi un presentimento, 125 anni prima, del nostro Elon Musk con la sua piattaforma, Twitter. La popolazione di Perla entra in fermento, mille assurde sottoculture nascono e si agitano dove prima regnava un’atmosfera stagnante.
Ma prima che la rivoluzione possa scoppiare, sopraggiunge un’epidemia di sonno, che costringe la popolazione a dormire per giorni. Si sospetta che quest’epidemia sia opera di Patera, ma ecco che già altri fenomeni innaturali e sbalorditivi si manifestano. Prima uno straordinario proliferare di insetti e di altri animali, sempre più grossi e temibili, che infestano la città e le campagne. Poi un rapido decadimento dei materiali, che intacca le costruzioni, i mobili, i vestiti, i cibi in una spirale sempre più rovinosa. Il tempo, che prima pareva non scorrere, si prende ora la sua rivincita.
Il racconto finisce per frammentarsi in una serie di immagini che mostrano la rovina di tutti i personaggi del libro, in un’atmosfera allucinata che ci ricorda “Il trionfo della morte” di Bruegel, il grande quadro in cui innumerevoli minuscole figure incontrano la loro nemesi ad opera di un’orda di scheletri che le perseguitano una ad una.
Non anticipo altro, amici lettori. Per leggere questo libro bisogna semplicemente abbandonarvisi sospendendo il lavorio del proprio senso critico, che vorrebbe analizzare il significato di ogni metafora, che si chiede continuamente perché l’autore scritto proprio così. Mi sembra infatti che Kubin abbia scritto senza porsi domande sul significato di ciò che narrava, e inoltre senza asciugare il testo né rifinirlo più di tanto, in balia di qualcosa che prorompeva da lui e che ci dà il quadro inquietante di una personalità disturbata.
Gli inizi dell’editore Adelphi
Questo libro, che mi è piaciuto per alcuni aspetti, non mi è però sembrato un capolavoro, amici lettori. Intanto è troppo lungo e – direi – troppo povero di pensiero, almeno per i miei gusti. Personalmente non sono particolarmente affascinato dagli autori che sembrano scrivere come posseduti da una forza oscura, invece che plasmare e limare il loro scritto, riducendolo all’essenziale. Però “L’altra parte”, oltre che il primo volume della storica collana “Biblioteca”, è anche un libro rappresentativo dei pregi e dei limiti dell’editore Adelphi, almeno nella prima fase della sua attività.
Tra i pregi vi furono le scelte editoriali coraggiose ed anticonformiste, la proposta di testi e autori praticamente ignoti in Italia, la cura editoriale, qui consistente anche nelle 52 illustrazioni del libro. Tra i limiti vi furono una preferenza per testi bizzarri, irrazionali e quasi iniziatici, talvolta scritti in uno stato di crisi (o forse di grazia?), come se il sovrannaturale avesse fatto irruzione nella mente dell’autore, come Apollo nella Pizia o Dioniso nelle Baccanti.
Non a caso molti autori pubblicati nei primi anni da Adelphi ebbero vite complicate, brevi, segnate in qualche modo dall’instabilità e dall’emarginazione, autori che furono insomma, loro malgrado o per scelta, in qualche modo degli “eretici”, a partire da Nietzsche.
Arrivederci alla prossima recensione e al prossimo autore, amici lettori.
Per chi fosse eventualmente interessato, ecco i link alle precedenti recensioni:
– 1) “Storie e leggende napoletane”, di Benedetto Croce;
– 2) “Il monaco nero in grigio dentro Varennes”, di Georges Dumézil;
– 3) “I Vangeli Gnostici”, a cura di Luigi Moraldi;
– 4) “La Cripta dei Cappuccini”, di Joseph Roth;
– 5) “Fuga da Bisanzio”, di Iosif Brodskij;
– 6) “Andrea” o “I ricongiunti”, di Hugo von Hofmannsthal;
– 7) “Lo stampo”, di Thomas Edward Lawrence;
– 8) “Un altro tempo”, di Wystan Hugh Auden;