«Caro re Salman, oggi il sistema impone troppi disagi fisici ed emotivi alle donne» scrivono in una lettera formale molte ragazze dell’Arabia Saudita che, facendo circolare il testo in arabo su Twitter, stanno chiedendo al sovrano Bin Abdulaziz al-Saud di abolire il sistema della tutela giuridica delle donne da parte di un uomo.
La petizione, morbida nei toni ma ferma nei contenuti, è stata firmata online da moltissime donne che hanno svelato la propria identità per il bene della causa, in una nazione dove spesso e volentieri il dissenso in rete ha un volto anonimo. La protesta è nata dopo che il Gran Mutfi dell’Arabia Saudita, che nel mondo arabo ha il potere di esprimersi su temi teologici ma anche giuridici, ha ribadito che mai il Paese abolirà il sistema di tutela saudita che affida le donne a un tutore legale, impedendo loro di prendere scelte in autonomia.
La legge, che nasce dall’interpretazione di un versetto del Corano, prevede che fino al matrimonio a occuparsi di una ragazza sia il padre, poi il compito passa al marito. Iscriversi all’università, accettare un lavoro, ricevere cure mediche, rinnovare il passaporto, affittare una casa sono tutte attività che hanno bisogno del placet del tutore.
Le gravi limitazioni che colpiscono le donne e gli abusi di potere, non rari tra i tutori, hanno portato alcune giovani a scappare all’estero anche se, avendo restrizioni sul visto, non possono lavorare e s’affidano al crowdfunding sul web. A colpi di hashtag come #IAmMyOwnGuardian, #StopEnslavingSaudiWomen e #TogetherToEndMaleGuardianship, le donne saudite stanno quindi combattendo la loro battaglia. «Solo così – aggiungono in calce alla lettera al re, l’unico che può cambiare la legge – qualsiasi cittadino, maschio o femmina, potrà diventare membro attivo e propositivo per la società».
Ilaria Beretta