La casa degli spiriti e la ‘luce’ delle donne

di Francesca Radaelli

Clara, Blanca, Alba. I nomi stessi delle tre protagoniste della storia della famiglia Trueba sembrano quasi rischiarare la stanza buia in cui prende avvio l’azione scenica. Siamo in Cile negli anni del colpo di stato militare e al centro della stanza delle torture c’è Alba, la più giovane delle tre donne protagoniste de La casa degli spiriti, lo spettacolo tratto dal romanzo omonimo di Isabel Allende, al debutto da venerdì 23 a domenica 25 ottobre al Teatro Binario 7 di Monza, con Silvia Giulia Mendola sul palco e la regia di Corrado Accordino.

È lei, Alba, giovane ‘compagna’ di un dissidente comunista, e per questo arrestata e messa sotto tortura, a rievocare la storia travagliata della sua famiglia di proprietari terrieri, i Trueba. Una storia familiare che Alba ha trovato raccontata per filo e per segno nei diari della nonna, Clara. Una storia percorsa da morti tragiche, violenze, collere, colpi di fucile e asce che tagliano dita. Ma anche da amori proibiti e appassionati, visioni del futuro e dialoghi con gli spiriti dei morti.

Proprio degli spiriti dei membri della famiglia, a poco a poco, si popola l’intero spazio oscuro della cella al cui centro c’è la ragazza, legata a una sedia: attraverso questi spiriti Alba tenta di sopravvivere ai suoi aguzzini, che di tanto in tanto interrompono con voce stridente il flusso del racconto.

O meglio, il flusso delle apparizioni vere e proprie dei personaggi sul palcoscenico. Silvia Giulia Mendola, sola sul palco insieme alla musicista Mimosa Campironi, non si limita a narrare la storia scritta nei diari di Clara. Si cala a tutti gli effetti nei panni di ogni Trueba, uomo  e donna, da Esteban, il ‘patriarca’ violento e rabbioso, fino alla nipote di questo, la stessa Alba, narratrice e protagonista della vicenda. Ad ognuno viene data la parola e ognuno di loro rivive la propria vicenda, nella notte scura della prigione militare.

A tessere i fili della vicenda familiare sono però le tre donne.

Clara, la veggente, in grado di annunciare la morte della sorella e il proprio matrimonio, di far muovere tavoli e bicchieri, di comunicare con i morti. E di interrompere il dialogo con i vivi rifiutando loro la parola.

Blanca, che adolescente scopre l’amore insieme al figlio di un servo della famiglia e lo vive in tutta la sua intensità, fino in fondo. O almeno fino all’intervento violento e rabbioso di suo padre Esteban.

Infine, Alba che per amore si appassiona alla politica, e ora è prigioniera, torturata e stuprata dai carcerieri.

Tra questi  Esteban Garcia,  figlio illegittimo del nonno Esteban, figlio di uno stupro e deciso a ripagare della stessa moneta la prigioniera. Proprio a lei però sarà affidato il compito di interrompere la catena oscura della violenza e della rabbia che attraversa la storia della famiglia Trueba, come la storia del Cile. E di far trionfare finalmente quella ‘luce’ di cui le donne della famiglia sono state sempre portatrici.

L’uso del buio e della luce durante lo spettacolo sembra esprimere proprio questo messaggio: dalla notte della cella di tortura si esce dando spazio alla luminosità delle donne e delle loro scelte. Quelle di Clara, di Blanca e infine di Alba, che sembra promettere finalmente una rinascita, anche per lo stesso nonno Esteban in punto di morte.

Silvia Giulia Mendola le impersona tutte e tre con grazia e notevole bravura, tenendo il palco per oltre un’ora e mezza, accompagnata dagli interventi sonori e musicali di Mimosa Campironi, che sottolineano i passaggi scenici.

Un bello spettacolo con cui è stato bello tornare a teatro.

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