La Chiesa, Papa Francesco, il Clericalismo

di Marco Riboldi

Nel mio ultimo intervento ho presentato alcune riflessioni a partire dalla intervista di papa Francesco alla trasmissione di Fazio.

Come detto, vorrei qui continuare la riflessione su un tema ulteriore, cioé la ispirazione ecclesiale del Pontefice e ciò che essa mi suggerisce.

A me (semplice cristiano non teologo), pare importante cogliere due questioni.

La prima è l’insistenza del Papa sulla degenerazione del clericalismo. Con questa parola, se ho ben capito, il Papa intende segnalare l’atteggiamento di rigidità ideologica che viene talvolta assunto da esponenti della chiesa, che preferiscono soffermarsi in modo pesante sulle regole invece di ascoltare la realtà, soprattutto la realtà delle persone.

Mi sembra che il pontefice cioè voglia indicare come strada maestra non tanto quella della dura affermazione di leggi e regole, ma un caldo scrutare i bisogni e le situazioni, interpretando le regole alla luce della vita e non viceversa.

Certo, occorre equilibrio, per non prendere clamorosi abbagli, ma è importante ricordare come la vita delle persone sia più complessa di ogni regolamento.

La carità deve saper cogliere tale specificità della vita e saper ragionare con grande apertura, senza mai trascurare la carne e il sangue, che costituiscono la realtà delle persone. Mi pare di sentire risuonare qui il motto evangelico circa “il sabato fatto per l’uomo, e non l’uomo per il sabato”.

La seconda questione, che mi pare interessante, è l’inserimento di questo messaggio nella storia della chiesa. Il respiro che il papa dona al suo discorso viene da lontano, direi soprattutto dal Concilio. Forse qualcuno ancora ricorda le parole davvero forti con cui papa Giovanni XXIII aprì il Concilio.

Nelle attuali condizioni della società umana, essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti  Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa. A noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”.

Ancora oggi i profeti di sventura abbondano, postulando sciagure se la chiesa tenta di avvicinare  la realtà concreta e interrogare i bisogni dell’uomo. Ma ancora Giovanni XXIII diceva, a proposito dei motivi per cui veniva organizzato il Concilio “Occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai tempi.” 

Chi pretende di porre una frattura tra Papa Francesco e la tradizione della chiesa mostra di non aver chiaro tutto questo. Dopo Giovanni XXIII altri grandi papi hanno continuato il discorso: Francesco ne è erede ed interprete.

Pensate a quanto detto circa la sua umiltà, il suo porsi su un piano vicino a quello dell’interlocutore: molti hanno visto in questo una rivoluzione, alcuni celebrandola, altri restandone scandalizzati.

Già, ma riascoltiamo il celebre “discorso alla luna” di papa Giovanni. Dopo le parole che tutti ricordano sulla luna e sulla carezza ai bambini, il pontefice disse: ”La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato padre per la volontà di Nostro Signore, ma tutt’insieme, paternità e fraternità, è grazia di Dio, tutto, tutto! (…) Fratres sumus!”

“La mia persona conta niente”: detto da un papa nel 1962! A distanza di 60 anni dobbiamo forse dire che ancora siamo lontani, se ci stupiamo dell’atteggiamento di un Papa Francesco. Guardo il libro contenente  i documenti del Concilio: sono circa 900 pagine. Quante dobbiamo (tutti noi cristiani, non solo “la chiesa”) ancora realizzarne?

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